Disastri naturali: cause, effetti e strumenti di contrasto

[di Maria Marano per il CDCA] I disastri naturali sono in continuo aumento, con un impatto sempre maggiore a livello locale e una forte complessità su scala globale. Tra alluvioni, uragani, tempeste, siccità, incendi, il costo dei danni, in termini economici, ambientali, sociali e di vite umane, è aumentato in maniera esponenziale negli ultimi anni.

L’intensificarsi di questi eventi, come sottolineano gli scienziati, è strettamente correlato ai rapidi e continui cambiamenti climatici di origine antropica. Gli stravolgimenti climatici come mostra l’ultimo studio pubblicato da Oxfam “Confronting carbon inequality” (2020) sono da imputare in primis ai consumi dell’1% più ricco della popolazione mondiale, responsabile di oltre il doppio delle emissioni inquinanti rispetto al 50% della popolazione più povera, sulla quale paradossalmente grava in maggior misura il peso degli effetti della crisi climatica.

Dinanzi alle catastrofi, povertà e diseguaglianze socio-economiche, principalmente nei Paesi in via di sviluppo ma anche nelle periferie del nord più ricco, si traducono in inadeguatezza delle infrastrutture, scarse risorse finanziarie, insufficienza di conoscenze e mezzi sia per intervenire nella gestione dei rischi che per mettere in campo misure di prevenzione. La situazione oggi è aggravata dalla pandemia da covid-19 (espressione anch’essa della crisi ecologica), che ha ridotto i servizi della cooperazione internazionale, così come gli aiuti finanziari, e ha reso più difficile gli spostamenti.

Uno sguardo ai dati dei disastri naturali: le ricerche delle ONG e del mondo accademico

Secondo i dati pubblicati nel rapporto annuale “Counting the Cost 2019: a year of climate breakdown”, realizzato dalla ONG inglese Christian Aid,  solo nel 2019 – dall’Africa meridionale al Nord America, dall’Australia all’Asia, fino all’Europa – inondazioni, tempeste e incendi hanno causato la morte di oltre 4.500 persone, con danni economici per miliardi di dollari, come mostrano i numeri di seguito riportati. Le inondazioni in Argentina e Uruguay hanno costretto 11 mila persone a lasciare le proprie abitazioni e causato 2,5 miliardi di danni; il ciclone Idai ha procurato la morte di 1.300 persone in Zimbabwe, Mozambico e Malawi e fatto danni per 2 miliardi; il ciclone Faniche ha colpito l’India e il Bangladesh, ha provocato 89 vittime e danni per 8,1 miliardi. I tifoni Faxai e Hagibis sono costati al Giappone oltre 20 miliardi di dollari, mentre gli incendi in California hanno causato danni per oltre 25 miliardi. Gli autori del report hanno collegato tutte queste catastrofi ai cambiamenti climatici.

Il nesso con gli stravolgimenti del clima viene evidenziato anche dagli autori dello studio “Evidence for sharp increase in the economic damages of extreme natural disasters” (2019), condotto dalla Scuola Superiore Sant’Anna e dalla Pennsylvania State University. focalizzato sulla quantificazione dei danni economici prodotti dagli eventi naturali estremi. Secondo questa ricerca sul piano economico i danni sono aumentati di 20 volte negli ultimi 50 anni. Sulla base del 5% degli eventi più catastrofici registrati, lo studio ha dimostrato che il costo dei danni provocati è aumentato ogni anno di circa 5 milioni di dollari.

A fronte di tutto ciò, milioni di persone si ritrovano senza mezzi di sostentamento e sono costrette a spostarsi in cerca di condizioni di vita migliori. Secondo il rapporto “Forced from Home Climate-fuelled displacement” (OXFAM 2019) cicloni, inondazioni e incendi hanno 3 volte più probabilità di causare migrazioni rispetto a guerre e conflitti.

Gli sfollati per catastrofi naturali superano quelli di guerra. La conferma arriva dai numeri riportati nel “Global Report on Internal Displacement 2020” (GRID), il rapporto annuale sugli sfollati dell’Internal Displacement Monitoring Center (IDMC). Nel 2019 sono stati 33,4 milioni i nuovi spostamenti interni in 145 paesi (tre quarti in soli 10 Stati: Siria, Repubblica Democratica del Congo, Yemen, Colombia, Afghanistan, Somalia, Nigeria, Sudan, Iraq ed Etiopia). A livello globale circa 1.900 catastrofi naturali alimentate dai cambiamenti climatici hanno provocato 24,9 milioni di nuovi sfollati (74,5%), così distribuiti: 13 milioni a causa di tempeste, 11,9 milioni a causa di cicloni, uragani e tifoni e 10 milioni a causa di alluvioni. Si tratta del numero più alto dal 2012 e tre volte gli sfollati per conflitti e violenze (8,5 milioni pari al 25,5%). Al primo posto con il più alto numero di sfollati climatici (5 milioni) si posiziona l’India. Il Paese ha registrato il settimo anno più caldo dal 1901 e il monsone più piovoso degli ultimi 25 anni, condizioni che hanno aumentato la potenza delle otto tempeste tropicali che lo hanno colpito nel 2019 e che hanno costretto oltre 4 milioni di persone a spostarsi (GRID 2020). Seguono Filippine (4,1 milioni), Bangladesh (4,1 milioni), Cina (4 milioni) e Stati Uniti (916.000). In tutti e cinque questi Paesi gli sfollati per catastrofi superano quelli di guerra.

Analizzando la questione per aree geografiche si evince che le stime di chi scappa dai disastri naturali arrivano a superare quelle di chi fugge a causa dei conflitti come nel caso di: Asia orientale e Pacifico (catastrofi naturali: 9,6 milioni, conflitti: 288.000), Asia meridionale (catastrofi naturali: 9,5 milioni, conflitti: 498.000), America (catastrofi naturali: 1,5 milioni, conflitti: 602.000), Europa e Asia centrale (catastrofi naturali: 101.000, conflitti: 2.800). In Africa sub-sahariana (catastrofi naturali: 3,4 milioni, conflitti 4,6 milioni) e Medio oriente e Nord Africa (catastrofi naturali: 631.000, conflitti: 2,6 milioni), gli sfollati di guerra sono superiori, significativa però è la constatazione che molti conflitti sono legati all’accesso e alla gestione di risorse naturali, che tra l’altro con l’intensificarsi degli effetti dei cambiamenti climatici diventano sempre più strategiche e pertanto oggetto di contesa.

Su questo tema, nell’ambito dell’iniziativa Nasen per la protezione di sfollati transfrontalieri nel contesto delle catastrofi e del cambiamento climatico, è stata lanciata da Svizzera e Norvegia la piattaforma sulle migrazioni dovute a catastrofi naturali (Platform on Disaster Displacement), che raccoglie esempi su come fronteggiare le catastrofi e proteggere le vittime.

Va detto che la questione resta ancora relegata ai margini delle agende politiche e gli sfollati del clima vengono per lo più considerati alla stregua dei migranti economici.

Onu, guida per la gestione del rischio disastri e promuove la cooperazione

La prevenzione è determinante sia per la salvaguardia dell’ambiente che delle comunità, oltre che in termini economici. Le Nazioni Unite in tale ottica hanno istituito la Giornata Internazionale per la Riduzione dei Disastri Naturali – celebrata ogni anno il 13 ottobre – con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza globale su: azioni concrete, politiche e pratiche per ridurre i rischi legati a questi fenomeni, diffondendo consapevolezza sull’importanza di prevenire quanto più possibile gli eventi. Il tema scelto dalle Nazioni Unite per il 2020, anche a fronte anche della pandemia da covid-19, è la “governance del rischio di catastrofi“. La governance del rischio di disastri a tutti i livelli e? fondamentale per garantire un’efficace ed efficiente prevenzione e gestione del rischio stesso. A tal fine si rendono necessari una pianificazione strategica sul lungo termine, competenze e conoscenze adeguate, collaborazione e coordinamento all’interno e tra i diversi settori.

In chiave di contrasto anche dei cambiamenti climatici sono necessarie misure di riduzione delle emissioni inquinanti e di tutela delle risorse naturali come il suolo.

Tra le iniziative di riferimento messe in campo dall’ONU si colloca il Sendai Framework for Disaster Risk Reduction. Si tratta un accordo internazionale per la riduzione del rischio da disastri (DDR) e per la promozione della cooperazione a tutti i livelli, regionali, nazionali e internazionali, e attraverso i diversi settori della società? civile e politica.

L’obiettivo entro il 2030 è quello di un aumento dei Paesi dotati di strategie nazionali e locali per ridurre il rischio di catastrofe, un rafforzamento della cooperazione internazionale e l’accesso gratuito ai sistemi di allarme precoce multirischio e alle informazioni e valutazioni sulle catastrofi. Al riguardo nel 2016 è stata lanciata la campagna “Sendai Seven” (incentrata sui sette obiettivi del Quadro di Riferimento di Sendai) che ha 4 priorità: 1. Conoscere e capire i rischi disastro; 2. Rafforzare la governance di gestione del rischio; 3. Investire nella prevenzione; 3. Migliorare i tempi e la qualità? di reazione e ricostruzione in caso di disastro.

Va detto che la prevenzione resta un problema di sistema, principalmente politico, che impone di affrontare questioni di lungo periodo, rivedere le priorità (mettendo al centro ad esempio la sanità e la scuola) e mobilitare risorse per convertire in chiave ecologica il sistema economico dominante. Una strada questa che gli Stati faticano ancora a percorrere.