Sblocca Italia, finanza e disastri ambientali

Edilizia-Sicurezza-Imc[di Luca Cardin su Zeroviolenza.it] Intervista ad Augusto De Sanctis

D. L’Italia è il paese del sole. I dati di marzo sulla produzione del fotovoltaico dicono che stiamo andando in quella direzione. Il governo però con lo Sblocca Italia continua a rilasciare autorizzazioni per la ricerca di idrocarburi.
Qual è l’entità degli interessi dietro queste concessioni?
R. Il mondo degli idrocarburi è sempre più finanziarizzato e molte aziende medio-piccole sostanzialmente appaiono vivere più di annunci di permessi ottenuti che vengono pubblicizzati adeguatamente sui mercati secondari della borsa  di Londra per ottenere qualche punto in più nella quotazione dei titoli.

Alcune di queste società hanno una patrimonializzazione piuttosto limitata rispetto ai progetti che dovrebbero gestire e questo pone seri dubbi sulla loro solvibilità in caso di grande incidente.

Altre criticità riguardano l’identificabilità del reale proprietario delle aziende, visto che in diversi casi vi sono fondi di investimento  esteri che a loro volta sono schermati da società con sedi in paradisi fiscali. Anche alcune transazioni su titoli minerari avvenute nel recente passato hanno destato forti dubbi, visto che le aziende diventano veri e propri concessionari.
I grandi player del mercato degli idrocarburi in Italia sono ENI, Total, Edison, che gestiscono i giacimenti di petrolio in Basilicata, il primo giacimento per importanza in Europa e i pozzi di gas in alto Adriatico e pianura padana, anch’essi di una qualche rilevanza. Il resto sono progetti di limitatissime dimensioni, seppur molto preoccupanti per gli impatti in un paese densamente abitato, con un patrimonio artistico e paesaggistico immenso ed un territorio estremamente fragile come l’Italia. In larga parte sono proposti da società londinesi di piccola e media grandezza.

Quando parliamo di idrocarburi troppo spesso parliamo solo di pozzi. In realtà dobbiamo guardare all’intera logistica connessa all’estrazione, stoccaggio, trasformazione e trasporto di gas naturale e petrolio.

D. Qual è il quadro più ampio a cui guardare?
R. L’Italia dovrebbe diventare, secondo la Strategia Energetica nazionale approvata dal Governo Monti nel 2012, un ”Hub del gas”. Dovrebbe diventare, cioè, una piattaforma logistica per gli altri paesi del nord Europa, un’area di  produzione e passaggio di idrocarburi, nonostante negli ultimi 20 anni il consumo interno di gas sia diminuito del 30%! Quindi infrastrutture per l’importazione – si veda la questione del gasdotto TAP, per il trasporto nel territorio italiano – si vedano i grandi gasdotti in costruzione e/o progettazione come la rete Adriatica di Snam o il Larino-Chieti di Gasdotti Italia, una società londinese, per lo stoccaggio temporaneo nel sottosuolo in vecchi giacimenti esauriti – si considerino la decine di stoccaggi in corso di realizzazione ed autorizzazione in Pianura padana e lungo il versante Adriatico.

Infine la rete degli impianti di gestione dell’enorme massa di rifiuti che viene prodotta nell’industria degli idrocarburi.
Tutto senza valutazione Ambientale Strategica, che permetterebbe trasparenza e pianificazione condivisa, nonostante vi siano precisi obblighi dettati da una Direttiva europea entrata in vigore in Italia dal 2004!

Un accenno meritano le ridicole royalty che il Paese chiede alle compagnie. Si va dal 7% al 10% sul valore del prodotto. In Norvegia siamo al 70%. Il vero scandalo è però nel regime delle franchigie. Sotto una certa soglia – ad esempio 80 milioni di mc di gas naturale estratto in mare – le aziende non pagano nulla allo Stato. Regaliamo una risorsa alle compagnie che poi ce la rivendono a prezzo pieno. Una follia.

D. Quindi l’Adriatico e regioni come la Basilicata sono diventati il nuovo Texas. Quali sono i rischi per il territorio di questa ricerca di petrolio così aggressiva da parte delle multinazionali?
R. Il territorio italiano è denso di abitanti, di opere d’arte, di paesaggi straordinari di produzioni agricole di qualità – basta pensare a vino e olio – non delocalizzabili e che danno un’economia diffusa. A questo il decreto Sblocca Italia contrappone la deriva petrolifera, un’economia concentrata in poche mani che deve prevalere sull’altra. Cosa porta un pozzo di idrocarburi? Tantissimi rifiuti in alcuni casi radioattivi che devono essere movimentati e smaltiti, purtroppo senza grandi possibilità di riutilizzo e riciclo; emissioni in atmosfera di inquinanti; forti rischi di esplosioni e incendi; contaminazione delle falde acquifere che in Italia sono già fortemente sotto stress antropico anche per altre cause.

Molti di questi contaminanti sono persistenti nel tempo, cioè non si degradano facilmente. Per il mare l’inquinamento acustico connesso alla tecnica dell’airgun ma, soprattutto, il rischio di sversamenti in mare. Il Mediterraneo è un mare chiuso già fortemente inquinato da petrolio; l’Adriatico un golfo di un mare chiuso. Un solo incidente con sversamento in mare provocherebbe danni immensi non solo all’ambiente e alla salute umana ma anche per tutto il settore turistico.  Il progetto Ombrina prevede il posizionamento per 25 anni di fronte alle coste abruzzesi di una nave di 330 metri detta FPSO. Una di queste unità nel 2011 di fronte alla Nigeria ha perso 40.000 tonnellate di petrolio in mare. Ci sono anche gli sversamenti in mare considerati di routine, per un intervento dalle caratteristiche di Ombrina, tenendo conto delle statistiche dei petrolieri norvegesi, ci sarebbero in media oltre 3.000 barili di petrolio in mare.

D. E per quanto riguarda l’abbassamento del suolo?

R. La subsidenza può essere provocata o esacerbata dall’estrazione di idrocarburi, come avvenuto in Pianura padana. Stiamo parlando di modifiche della quota che possono arrivare a metri.
Infine la questione terremoti, su cui in Italia è calato il silenzio per decenni nonostante sulle riviste scientifiche internazionali sia un problema riconosciuto da tempo. I sismi possono essere indotti, cioè provocati direttamente dalle attività sotterranee delle compagnie, oppure innescati, cioè le faglie che già sono in tensione possono essere fatte “scattare” dall’intervento umano.
Il caso di Groningen in Olanda è paradigmatico. Dopo trenta anni di estrazioni di gas da un enorme giacimento sono iniziati i sismi con una progressione parossistica. Oggi si registrano circa 100 sismi all’anno in un’area del tutto priva di sismicità naturale. Il Governo olandese ha chiesto scusa per aver sottovalutato i rischi ma ammette anche di non sapere quale sarà l’evoluzione del fenomeno. Il risultato è: 130.000 case da ristrutturare e un danno calcolato in 32 miliardi di euro. Anche gli stoccaggi sono molto rischiosi da questo punto di vista e l’esempio del progetto CASTOR in Spagna lo documento molto bene.

Questo enorme impianto in mare, di fronte alla costa, che ha comportato una spesa di 1,5 miliardi, è stato chiuso dal Governo spagnolo dopo due mesi di attività a causa dei continui sismi provocati. Oggi anche il Governo italiano nei decreti ammette che ci possono essere sismi. Peccato che sostenga, è scritto nei decreti favorevoli per i progetti di stoccaggio di S. Benedetto del Tronto e S. Martino sulla Marrucina, che qualora si induca un sisma con magnitudo Richter maggiore di 3 – senza un limite superiore… – l’operatore deve fare in modo di tornare sotto la magnitudo 2. Come se vi fosse una manopola che consente di controllare i terremoti. Tutto scritto con la firma dei ministri sotto il Decreto.

D. Lo scorso 23 maggio 60mila persone hanno manifestato a Lanciano contro Ombrina e la deriva petrolifera in Adriatico. Come è organizzata la rete “Ferma Sblocca Italia” e quali sono le prospettive?
R. La campagna è partita dal basso con un primo appello dall’Abruzzo rivolto ai comitati di altre regioni per realizzare un sit-in davanti al parlamento il 15 e 16 ottobre. Hanno aderito 200 organizzazioni, comitati e movimenti.  Abbiamo ottenuto qualche modifica significativa al Decreto durante il passaggio alle camere  per la conversione in legge. Il Governo Renzi aveva stabilito di eliminare il divieto di perforazioni nel Golfo di Salerno, alle Egadi e nel Golfo di Napoli vigente dagli anni ’90 per tutelare posti Ischia e Capri! Ci rendiamo conto? Almeno questo divieto è stato reintrodotto su nostra pressione.

Dopo la conversione in Legge del Decreto vi sono state alcune assemblee e manifestazioni in Abruzzo, Campania, Basilicata, Puglia, Molise, Calabria, Marche. Da queste iniziative è nata l’idea di convocare una prima assemblea nazionale che si è svolta a Pescara il 24 maggio, il giorno dopo la manifestazione. Hanno partecipato 150 persone provenienti da 14 regioni italiane. E’ stato condiviso un documento su alcuni punti programmatici, che dovranno essere sviluppati da sei gruppi di lavoro. Si va dall’esame di un’eventuale proposta referendaria all’analisi delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale, da nuove manifestazioni a momenti di formazione degli attivisti. I gruppi di lavoro sono aperti e chiunque può partecipare scrivendo a nosbloccaitalia@gmail.com

L’attacco al territorio da parte di decine di progetti sicuramente provocherà una reazione popolare molto forte. Il Belpaese, l’Italia del sole, non può guardare alle fonti di energia del passato. Già oggi il 40% dell’elettricità è prodotta da rinnovabili. Ha senso lanciare ora il paese verso lo sfruttamento di fonti inquinanti che dobbiamo abbandonare quanto prima perché causa dei cambiamenti climatici?
Le “fossili” possono stare solo in un posto, nei musei!

Pubblicato il 22 giugno 2015 su Zeroviolenza.it