Cambiamento climatico e TTIP: chi ci guadagna?

TTIP[Di Alberto Zoratti su Zeroviolenza.it] Il momento potrebbe essere storico, ma la sfida lo è certamente: impedire ai miliardi di tonnellate di gas climalteranti di rendere inabitabile il nostro pianeta ricorda più la trama di un film di Asimov che non il mondo con cui abbiamo a che fare.

Ma la cruda realtà che si può scoprire dai report dell’IPCC, il Panel di scienziati e ricercatori che per le Nazioni Unite studia il fenomeno del cambiamento climatico, ci racconta di una concentrazione di CO2 in atmosfera in costante aumento, e che è arrivata a superare le 400 ppm (parti per milione) dalle 260-280 di alcuni secoli fa, di un equilibrio atmosferico sempre più precario che porta a sfasamenti nelle stagioni, nelle piogge, nelle siccità in modo così veloce e non lineare da mettere in crisi ecosistemi e intere comunità umane.

A Parigi, durante la 21° Conferenza delle Parti dell’Onu sul cambiamento climatico, i Governi del mondo cercheranno una quadra a un fenomeno che ha già portato la temperatura media mondiale ad aumentare di oltre 0.78°C dall’inizio del secolo, e che, senza interventi efficaci rischierà di superare i 2°C nel prossimo futuro.

Il modello di governance che verrà proposto a Parigi, e su cui i Paesi membri della Convenzione Quadro dell’Onu sul clima (UNFCCC) dovranno trovare un accordo, vedrà a luce ufficialmente nel 2020 e dovrebbe accompagnare l’impegno sul cambiamento climatico della comunità internazionale negli anni a venire.

Rispetto al passato e alla filosofia che ispirò il Protocollo di Kyoto, il dispositivo vincolante che tra le altre cose imponeva obblighi di riduzione delle emissioni dei gas, l’architettura che sta nascendo sarà sostanzialmente volontaria sulla falsa riga dell’approccio scelto a Rio de Janeiro in occasione di Rio+20, il summit Onu su ambiente e sviluppo sostenibile a 20 anni dall’Earth Summit di Rio del 1992.

Dall’analisi dei quasi 150 piani nazionali di taglio delle emissioni (Intended Nationally Determined Contributions) proposti alle Nazioni Unite, che corrispondono all’87% di tutte le emissioni globali, emerge che la soglia dei 2°C verrà certamente superata, avvicinandosi ai 3°C. Ma la questione non è solamente l’adeguatezza degli impegni, ma soprattutto l’efficacia delle misure proposte.
I movimenti sociali e le reti della società civile, ormai da anni spingono per un cambiamento di paradigma: “System change not climate change“. Mettere in discussione le regole su cui si basa il sistema economico attuale, cioè, diventa imperativo categorico per poter effettivamente affrontare questioni come il cambiamento climatico.

Ma un cambio di sistema presuppone regole diverse e soprattutto una diversa gerarchia della loro applicazione. Uno scenario ad oggi inesistente considerato che i principi del libero commercio rimangono prioritari rispetto alle questioni della tutela ambientale, e non solo in senso generale.

Un recente report di Fairwatch per la Campagna Stop TTIP Italia (“COP21 e TTIP. Perché il marketing della Commissione Europea su TTIP e sviluppo sostenibile è a spese dell’ambiente e del clima” – Novembre 2015) analizza il capitolo sullo Sviluppo Sostenibile del trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea (TTIP), così come è stato diffuso dopo l’XI° round negoziale dell’accordo, nell’ottobre 2015. Al di là di generali enunciazioni relative agli Accordi Multilaterali sull’Ambiente, il report dimostra che non esiste alcun meccanismo vincolante che imponga ai Paesi il rispetto dei vincoli ambientali.

A differenza dei meccanismi di tutela degli investitori, che prevedono il ricorso ad arbitrati con la possibilità per aziende private di chiedere compensazione economica in caso di politiche contrarie alle loro aspettative di profitto sugli investimenti, o a organismi di risoluzione delle controversie che permettono alle Parti di mettere in campo ritorsioni commerciali in caso di non ottemperanza agli accordi economici stipulati, non esiste nulla di tutto questo in caso di mancato rispetto delle normative sociali e ambientali.

Nessuna condizionalità è stata posta su un reale impegno nell’applicare e implementare gli Accordi Multilaterali sull’Ambiente: solo processi consultivi che possono sfociare in raccomandazioni non vincolanti, che non mettono in discussione l’architettura generale del trattato.

Come tutto ciò possa risultare in una proposta ambiziosa sulla sostenibilità e come questo possa garantire un aumento degli standard di tutela e di protezione sociale e ambientale è impossibile capirlo. Soprattutto in un sistema di valori dove viene garantito il primato della libertà del mercato, della tutela degli investitori, dell’importanza della competizione internazionale rispetto alle economie locali.

Quanto poi l’Arbitrato internazionale per la protezione degli investimenti (ISDS) sia un rischio per gli Accordi Multilaterali sull’Ambiente, è stato ben espresso da una risoluzione del Parlamento Europeo votata a larga maggioranza nell’Ottobre 2015 dove si chiede esplicitamente che i risultati della Conferenza delle Parti sul Clima programmata a Parigi nel dicembre 2015, nelle parti che impegnano i Governi, non siano passibili di cause di compensazione economica davanti a un arbitrato tra investitori e Stati sullo stile dell’Investor to State Dispute Settlement (ISDS). Una presa di posizione forte che si basa sulle posizioni del giurista canadese Gus Van Harten espresse nel report “An ISDS Carve-Out to Support Action on Climate Change” pubblicato nel settembre 2015.

La globalizzazione neoliberista ha norme, dispositivi, criteri. Nel progressivo tentativo di ampliare le prerogative del privato rispetto al pubblico e al bene comune, vengono creati meccanismi capaci di rendere coercitivi regole e principi commerciali ed economici.

Lo sviluppo sostenibile, e quindi ambiente e diritti del lavoro, diventano così variabili dipendenti dagli interessi del privato. Utilizzati sempre più spesso come contenuti di marketing per rendere digeribili all’opinione pubblica e alle parti sociali accordi che altrimenti sarebbero difficili da accettare a scatola chiusa. Un gioco comprensibile, visti gli interessi in ballo, ma molto pericoloso.

Perchè rischia di dare spazio a false soluzioni che, più che invertire la rotta al cambiamento climatico, potrebbero paradossalmente determinarne una pericolosa accelerazione.

 

 

Pubblicato su Zeroviolenza.it il 27 novembre 2015