Petrolio. Governo al lavoro per evitare il referendum: modifica in legge di stabilità. Ma i “No Triv” non si fidano…

No Triv[Di Angela Mauro su Huffingtonpost.it] Molto probabilmente sarà la legge di stabilità lo strumento con cui il governo andrà a modificare il decreto Sblocca Italia per evitare il referendum chiesto dal comitato ‘No Triv’. La soluzione tecnica in ogni caso arriverà per lunedì prossimo. Matteo Renzi infatti non demorde rispetto all’obiettivo prefissato insieme al ministero dello Sviluppo Economico e al ministero dell’Ambiente a fine novembre, quando la Cassazione ha dato il suo ok ai sei quesiti referendari. Oggi e domani sono in corso riunioni tra il ministro Federica Guidi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Claudio De Vincenti, che sta curando la pratica per Palazzo Chigi, il ministro Gian Luca Galletti e rappresentanti delle regioni. Ma il comitato ‘No triv’ non ci sta: chiede che sia invece permessa la consultazione referendaria, vera garanzia contro le trivellazioni.

Già l’anno scorso il governo aveva modificato l’articolo 38 dello Sblocca Italia attraverso la legge di stabilità, per vanificare i ricorsi delle Regioni in Corte Costituzionale sulle competenze in materia di trivellazioni. Quest’anno dovrebbe accadere qualcosa di simile, con un emendamento del governo alla manovra. Obiettivo: annullare la richiesta di referendum, sulla quale la Consulta si esprimerà il 13 gennaio.

E’ una corsa all’ultimo minuto, per evitare una consultazione che parte forte dell’appoggio di ben 10 regioni, un fronte largo e trasversale che va dal M5s alla sinistra parlamentare ed extraparlamentare fino a pezzi della Lega e anche del Pd sui territori, circoli cattolici, Legambiente e Greenpeace e altre sigle. Un voto insomma che potrebbe rivelarsi spina nel fianco per il governo. Che infatti ora vuole correre ai ripari, senza però riuscire a convincere i comitati. Almeno per ora.

I ‘No triv’ insistono che il referendum resta la via migliore. “La strada referendaria è l’unica che possa fornire solide garanzie: gli effetti dell’abrogazione, in questo caso, sarebbero diversi da quelli che si avrebbero qualora il governo o il parlamento intervenissero con atto normativo – dice Enzo Di Salvatore, il costituzionalista che ha materialmente scritto i sei quesiti – Se si arrivasse all’abrogazione referendaria, il Governo o il Parlamento non potrebbero reintrodurre le norme abrogate. Questa certezza, invece, non ci sarebbe se quelle norme venissero abrogate con decreto-legge o con legge. D’altra parte l’esperienza insegna: nel 2010 il decreto Prestigiacomo aveva vietato la conclusione dei procedimenti in corso per il rilascio dei permessi di ricerca e delle concessioni di estrazione in mare; nel 2012 Monti ha rimosso quel divieto”. Enrico Gagliano del Comitato referendario ‘No Triv’ spiega che “se il Governo fosse in buona fede e volesse ripensare il ruolo delle energie fossili a livello nazionale, dovrebbe procedere con la modifica legislativa in blocco e senza aggiungere altre norme”.

“Non si comprende perché si continui a sostenere che l’obiettivo è modificare le norme e non il referendum: è giusto che siano i cittadini italiani a decidere su un tema così importante – aggiunge Stefano Pulcini del Coordinamento Nazionale No Triv – Alcuni delegati regionali si comportano come se fossero delegati del partito che li ha eletti e non delegati del Consiglio regionale di provenienza. Sorprende che le opposizioni non abbiano nulla da dire al riguardo. I delegati hanno un vincolo di mandato e se non condividono la scelta effettuata dal consiglio regionale che li ha eletti devono dimettersi dal loro ruolo”.

Più caute le regioni. Michele Emiliano chiede un “incontro urgente a Renzi sui temi ambientali non più rinviabili”. Dalla questione del “gasdotto Tap alla revisione della Procedura VIA nazionale per la ricerca di idrocarburi nell’Adriatico”, spiega il governatore pugliese chiudendo la sua relazione alla conferenza Onu sull’ambiente, ‘Cop 21’, che si conclude domani a Parigi. “Ci aspettiamo che il governo attivi un percorso partecipato, in grado cioè di verificare con le regioni le norme contestate, e di cambiarle in maniera coerente con il contenuto dei quesiti referendari. Altrimenti il percorso referendario andrà avanti e si esprimeranno i cittadini”, dice Piero Lacorazza, presidente del consiglio regionale della Basilicata, tra i più attivi a chiedere la consultazione popolare.

 

 

Pubblicato su Huffingtonpost.it il 10 dicembre 2015