I gommoni, le trivelle e la crisi del clima

Profughi Ambientali1[Di Marco Morosini su Huffingtonpost.it] Ai primi di settembre i mezzi di comunicazione esprimevano euforia per la scoperta italiana del più grande giacimento di gas del Mediterraneo e sgomento per il numero crescente di disperati che che cercano di raggiungere l’Europa traversando questo mare. Sopra le sue acque, i gommoni della morte alimentano speranze di redenzione. Sotto le sue acque, nuovi tesori di idrocarburi alimentano speranze di più prodotto lordo. Eppure pochi colgono il fatale nesso tra i due fenomeni.

Gli studiosi prevedono che le attuali migrazioni verso l’Europa fra alcuni anni sembreranno piccole rispetto alle probabili migrazioni di decine di milioni profughi ambientali. Bruciare più combustibili fossili e più foreste libera CO², il maggiore gas che altera il clima. Di conseguenza, in molti paesi, specialmente nei meno ricchi, le terre diventano aride, i deserti si ampliano, il bestiame muore, le risorse d’acqua s’impoveriscono o si degradano. Un innalzamento anche solo di pochi centimetri del livello del mare (dovuto al probabile aumento dello scioglimento delle banchise polari) favorisce le inondazioni e causa infiltrazioni d’acqua marina nelle falde di acqua dolce. In molti paesi milioni di ex-agricoltori ed ex-allevatori si riversano nelle città, creando tensioni sociali. Queste causano spesso ribellioni e repressioni che alimentano spirali di violenza. La Siria, per esempio ha subito dal 2006 al 2011 la sua peggiore siccità. Buona parte del bestiame è morta, due milioni di persone, su 17 milioni di abitanti, hanno lasciato le campagne, in diverse città l’acqua è diventata scarsa ed è stata mal distribuita. Le conseguenti proteste popolari sono state represse nel sangue, generando ribellioni e repressioni che sono una causa della guerra civile.

I profughi ambientali non godono di alcun stato giuridico come invece è il caso per i profughi politici (Convenzione di Ginevra del 1951) e dei migranti economici. Per colmare questa lacuna il 12 e 13 ottobre si sono riuniti a Ginevra i rappresentati di 75 governi in una Global consultation che ha presentato un’agenda di protezione per i profughi ambientali e delle catastrofi naturali. Questa è il risultato di consultazioni regionali promosse dalla Nansen Initiative, un organismo creato a Ginevra nel 2012 dalla Svizzera e dalla Norvegia.

Il dramma dei profughi richiede tre azioni egualmente indispensabili: il soccorso, l’educazione degli europei a conoscere le cause lontane e vicine delle migrazioni forzate, e infine l’abbandono delle condotte dei cittadini e dei governi dei paesi ricchi che contribuiscono a causare le migrazioni. Se i mezzi di comunicazione, gli insegnanti, e le personalità delle istituzioni e della cultura ricordassero sovente le nostre responsabilità passate e presenti nel rendere miserabile la vita di interi popoli, meno cittadini sarebbero ostili a profughi e migranti, mentre comprensione e generosità crescerebbero.

La responsabilità dell’Occidente nel contribuire a causare le migrazioni è triplice: colonialismo, globalizzazione, cambiamento climatico. Il colonialismo fu fatto di invasioni militari (il solo Regno Unito intervenne in tutti i paesi del mondo, tranne 22), dominio politico, commercio di schiavi, depredazione delle risorse naturali, sfruttamento di conflitti etnici a nostro vantaggio, creazioni arbitrarie di confini e stati, sviluppo di strutture economiche funzionali alle metropoli europee. Molte conseguenze dei crimini e delle distorsioni del colonialismo perdurano ancora oggi e sono solo in parte compensate dai benefici che gli europei portarono nelle colonie e dai nostri modesti aiuti allo sviluppo. Poi venne il neocolonialismo, fatto di protezionismo economico, patti economici leonini, esportazione di armi a favore di molti tra i peggiori regimi, corruzione e influenza sui governi, sostegno ai dittatori, colpi di stato contro governi democratici, bombardamenti e invasioni militari che hanno destabilizzato o devastato interi paesi.

La globalizzazione – che è in gran parte americanizzazione e europeizzazione – porta, causa benefici e danni. La sua ricetta è semplice: un mercato unico, merci uniche (identiche in ogni Paese), un canale dominante dell’informazione unico (internet), cultura e lingua uniche (anglosassoni), un pensiero economico unico. Attraverso i mezzi di comunicazione globalizzati e con più di un trilione di spese in pubblicità ogni anno, i paesi ricchi inondano i paesi meno ricchi con l’ostentazione di merci e stili di vita attraenti, apparentemente accessibili a tutti, e sempre associati a felicità e letizia. Come stupirsi se tra miliardi di persone indigenti, a molte delle quali bastava il poco che aveva, milioni sono indotti a spostarsi là dove i consumi luccicano?

Infine, gli effetti del cambiamento climatico indotto dall’uomo sono una causa sottostimata e sempre più importante di fuga e migrazione. Le popolazioni più soggette a questi cambiamenti sono quelle che meno li hanno causati, perché in media i loro abitanti emettono cinque o dieci volte meno gas serra di quanti emettiamo noi. Da un punto di vista scientifico, però, si dovrebbero considerare non solo le emissioni di gas climalteranti attuali o recentissime, ma anche le emissioni storiche cumulate dall’inizio della rivoluzione industriale. I loro effetti climatici, infatti, perdurano per qualche secolo. Considerando quindi le emissioni storiche dei paesi industriali la sperequazione di responsabilità tra abitanti dei paesi ricchi e dei paesi poveri è molto più grande di quella che appare dalla contabilità recente delle emissioni. È per questo che alcuni economisti e alcuni paesi preconizzano che l’attribuzione internazionale di diritti e responsabilità d’emissione di gas climalteranti sia sancita indipendentemente dal luogo e dal tempo in cui un abitante della Terra vive, ha vissuto o vivrà.

Tra gli scienziati, i tecnologi e gli economisti cresce il numero di coloro che ritengono necessario e possibile in pochi decenni l’abbandono quasi completo delle energie fossili e una transizione alle energie rinnovabili. Secondo geologi e climatologi il limite dei combustibili fossili non è nel loro imminente esaurimento. Si stima infatti che dal sottosuolo ne siano accessibili almeno tanti quanto ne abbiamo bruciati in due secoli. Il vero limite ai combustibili fossili sono le conseguenze climatiche catastrofiche, se bruciassimo tutti quelli disponibili. Mentre i climatologi raccomandano quindi di lasciarli dove stanno, la nostra brama fossile continua a spingerci a nuove esplorazioni ed estrazioni. Dimentichiamo però che le emissioni di gas di serra di oggi saranno una delle cause dei profughi ambientali di domani.

 

 

Pubblicato su Huffingtonpost.it il 30 novembre 2015