Per il mondo l’ambiente è una priorità, ma l’Italia dorme

[di Francesco Cancellato per linkiesta.it] Il Green Act è stato promesso nel 2015, ed è stato continuamente rimandato. E ancora oggi aspettiamo misure che costano poco o nulla e aiuterebbero sia l’economia che l’ambiente.

«Costituzione, legge elettorale, fisco, giustizia civile, Pa, cultura, scuola, Rai, GreenAct, lavoro. Facciamo sul serio. Sarà un buon 2015». Così, Matteo Renzi su Twitter il 2 gennaio dello scorso anno. E in effetti, l’inquilino di Palazzo Chigi ha messo mano, bene o male, a quasi tutto quel che aveva promesso.

Il problema è quel quasi. Perché se c’è un ambito in cui il governo è stranamente e colpevolmente reticente è proprio legato alle norme che avrebbero dovuto consentire all’Italia uno sviluppo innovativo e sostenibile per l’ambiente. Non che non siano mancate le promesse. Il 18 giugno dello stesso anno era stato Erasmo De Angelis,coordinatore della struttura di missione sul dissesto idrogeologico di Palazzo Chigi, a dire che «Il Green Act è in lavorazione e il ministro Galletti lo presenterà a breve», aggiungendo che « definirà tutto lo scenario futuro sul tema delle energie rinnovabili e dei cambiamenti climatici» e che «avrà un approccio di sistema a un problema che per noi è la madre di tutte le battaglie».

Evidentemente la gravidanza non è andata a buon fine. Perché già il 4 novembre Galletti ha raffreddato gli entusiasmi. E mentre raccontava come la green economy stesse «guidando la ripresa del nostro Paese», affermava che si sarebbe dovuta aspettare la conferenza internazionale sul clima di Parigi, la cosiddetta Cop21, perché «nessuno può pensare di raggiungere tali obiettivi badando soltanto agli interessi nazionali». In altre parole, diceva il ministro, «non ho fretta di chiudere il Green act: occorre, infatti, che sia tarato sugli obiettivi che saranno fissati dalla Cop21, e modellato sulla direttiva sull’economia circolare dell’Ue che avrebbe dovuto essere approvata all’inizio dell’anno ed è stata posticipata al prossimo dicembre».

Bene: è passata Cop21 ed è stata un successo, con l’accordo per la riduzione delle emissioni – miracolo! – ratificato pure da Usa e Cina. E pure la pachidermica e tecnocratica Unione Europea è riuscita ad approvare il suo action plan sull’economia circolare, coi suoi ambiziosi obiettivi da raggiungere: riciclo del 65% dei rifiuti urbani entro il 2030, progressiva rottamazione delle discariche, concrete misure per promuovere le industrie che producono attraverso materiali di scarto, ad esempio.

Tutto pronto per inserire il Green Act nella legge di bilancio di quest’autunno? No,perché il Green Act rispunta nella nota di aggiornamento al Def, il Documento di economia e finanza dove riappare nel cronoprogramma delle riforme «in avanzamento». Orizzonte previsto? Entro la fine del 2017. Facendo i conti della serva, tre anni buoni dall’annuncio se almeno questa promessa sarà mantenuta.

Nel frattempo, certo, è stata approvata la legge sugli Ecoreati e nella legge di bilancio che sarà presentata nei prossimi giorni, pare, ci sarà l’agognato ecobonus al 65% per la riqualificazione energetica dei condomini, con la quale si potrebbero ristrutturare ben 12mia vecchi edifici grazie a un fondo che anticipa le spese alle aziende costruttrici. Tutto giusto, certo, ma nel frattempo l’aria in pianura padana continua a essere la peggiore d’Europa, a Taranto i bambini continuano ad ammalarsi di tumore con percentuali molto al di sopra della media nazionale e molte grandi città, Roma in primis, si ritrovano a vivere l’ennesima emergenza rifiuti.

«Non è vero che gli investimenti in innovazione e ricerca, nella riqualificazione delle città debbano essere rinviati a tempi migliori, a quando saremo fuori dalla crisi. E non è certamente l’Unione Europea l’ostacolo per queste politiche, visto che da anni chiede all’Italia di spostare la tassazione, che oggi pesa sul lavoro, verso il consumo delle risorse ambientali», ha dichiarato Edoardo Zanchini presentando le 15 proposte di Legambiente per una Legge di Bilancio “green”, ed è difficile dargli torto.

Tra le proposte c’è la fissazione di un canone minimo per l’attività estrattiva, la penalizzazione dello smaltimento dei rifiuti in discarica, la rimodulazione dell’Iva sui prodotti in funzione della loro sostenibilità ambientale, l’adeguamento deicanoni per il prelievo delle acque minerali e delle concessioni balneari, l’abolizione delle proroghe per le concessioni autostradali legati ai progetti di nuove tratte, l’eliminazione di tutte le esenzioni dalle royalties e l’abolizione di ogni tipo di deducibilità fiscale delle stesse.

E ancora: l’istituzione di un fondo nazionale per le bonifiche dei siti orfani e delle aree pubbliche, sul modello di uno strumento che negli Usa è attivo dal 1980, larevisione della tassazione in materia edilizia per disincentivare il consumo di suolo e incentivare le riqualificazioni, incentivi alla gestione del patrimonio boschivo e al recupero dei terreni agricoli abbandonati, la revisione della fiscalitàsull’autoconsumo da fonti rinnovabili e di quella sui carburanti, la rimodulazione delletasse sulle automobili, secondo il principio che chi inquina di più paga di più.

Tutto si può discutere, insomma, ma una bella bozza di Green Act c’è già, costa poco o nulla e potrebbe dare un forte stimolo all’economia. Come ha ricordato il presidente della commissione ambiente Ermete Riallacci, «Il credito di imposta per ristrutturazioni e risparmio energetico ha rappresentato una straordinaria misura anticiclica: nell’anno in corso sono previsti investimenti per 29 miliardi di euro e 436 mila occupati tra diretti e indotti». Rifacciamo la domanda, allora: che fine ha fatto il Green Act? Perché l’ambiente e lo sviluppo sostenibili sono scivolati in coda a ogni altra priorità? Attendiamo fiduciosi.
Pubblicato il 12 ottobre 2016