La deforestazione in Africa ha favorito il rischio Ebola

155854850-caee487a-3f70-4f28-bcc5-2518089209e2[di Claudio Cucciatti su Repubblica] Esiste un nesso tra pazienti e abbattimento degli alberi. Lo sostiene uno studio pubblicato su Scientific Reports. L’esperta: “L’apertura di nuovi spazi ha favorito il contatto con l’uomo”

L’attività umana ha favorito la diffusione del virus Ebola. A causa della frammentazione delle foreste il livello di contagio dagli animali all’uomo è salito. Uno studio del Politecnico di Milano, pubblicato su Scientific Reports, sostiene che esista una relazione tra l’abbattimento degli alberi e alcuni focolai della malattia in Africa centrale e occidentale tra il 2004 e il 2014. “Gli ‘animali-serbatoio’ hanno saputo adattarsi al cambiamento del proprio habitat – spiega Maria Cristina Rulli, docente di water and food security che ha condotto la ricerca insieme ai colleghi della Fondazione centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici, della Massey University e dell’University of California – e l’apertura di nuovi spazi ha favorito il contatto con l’uomo”.

Lo studio. La ricerca si è basata su undici casi autonomi di contagio da animale a uomo in Uganda, Repubblica democratica del Congo, Sudan, Repubblica del Congo e Guinea. Si è riscontrato che i siti di prima infezione da ebolavirus, rispetto alla media dei Paesi africani, sono i luoghi con una densità di popolazione maggiore, con una presenza massiccia di terreno coperto da foreste e con un’alta percentuale di frammentazione o di incremento di essa.

Mentre la deforestazione cancella grandi aree di verde in maniera indiscriminata, la frammentazione colpisce piccole zone di una foresta, a macchia di leopardo. “L’azione dell’uomo – spiega Rulli – ha permesso comunque agli animali-serbatoio, che sono specie generaliste, cioè in grado di adattarsi alle nuove condizioni, di approfittare dell’assenza di vegetazione per spingersi verso gli insediamenti umani”.

Il virus. Tra i portatori putativi, ritenuti cioè diffusori del virus, due tipi di pipistrello: il myonycteris torquata e l’epomops franqueti. Al momento, però, manca la conferma scientifica su quale animale abbia incubato il virus. “Il nostro studio – chiarisce la professoressa del Politecnico – è robusto qualunque si rivelerà la specie portatrice del virus, purché sia un animale selvatico che vive nelle foreste analizzate, perché ci siamo concentrati sugli effetti della frammentazione”.

Gli sviluppi. Quando si parla di foreste a rischio, il pensiero corre alle emissioni di anidride carbonica, alle variazioni del suolo e ai danni idrologici. “Tra gli effetti collaterali, dopo questi risultati, dovremo tenere conto anche della proliferazione delle malattie, tra le quali zoonosi come ebola e altre patologie. Il nostro compito non è quello di dire cosa non fare – conclude Rulli – ma capire le conseguenze che ogni alterazione dell’ambiente può generare”.

I numeri. L’epidemia di Ebola ha colpito principalmente l’Africa occidentale. Guinea, Sierra Leone e Liberia sono stati i Paesi che hanno pagato il conto più salato. Il virus ha colpito più di 28mila persone e ha provocato oltre 11mila morti. Nel gennaio del 2016 l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato conclusa l’epidemia a più di due anni dal primo caso registrato, quando ad ammalarsi fu un bambino in Guinea, ritenuto il paziente zero.

(Pubblicato il 25/02/2017)