Profughi interni: più di 31 milioni di persone in 125 Paesi hanno abbandonato le loro case

[di Valeria Fraschetti su La Repubblica] Si è calcolato che è accaduto ogni secondo dell’anno scorso, secondo un report del Global Report on Internal Displacement, pubblicato dall’Internal Global Report on Internal Displacement e dal Norwegian Refugee Council. Violenze, conflitti e disastri ambientali sono le cause di questo fenomeno sottovalutato che ha raggiunto numeri mai registrati prima.

Ogni secondo dello scorso anno una persona nel mondo è stata costretta a lasciare la propria casa, ingrossando il già titanico esercito degli sfollati interni, cui solo nel 2016 si sono aggiunte 31,1 milioni di persone in 125 Paesi. A fornire queste cifre impressionanti è il Global Report on Internal Displacement, pubblicato dall’Internal Global Report on Internal Displacement e dal Norwegian Refugee Council. Violenze, conflitti e disastri ambientali sono le principali cause di questo fenomeno drammatico e sottovalutato che, secondo il rapporto, ha raggiunto numeri mai registrati prima.

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I disastri naturali che inducono alla fuga. I disastri naturali hanno messo in fuga un numero di persone tre volte superiore a quello dei conflitti e delle violenze: 24,2 milioni. Che si trovano soprattutto in Paesi con redditi bassi o medio-bassi, in buona parte asiatici, e che sono destinati ad aumentare per via dell’impatto del cambiamento climatico. Solo in Cina ci sono stati 7,4 milioni di “sfollati cimatici”, nelle meno popolose Filippine quasi 6 milioni, in India 2,4. Responsabili della maggior parte delle migrazioni per eventi climatici violenti sono le inondazioni. Anche se, per esempio, a Cuba l’uragano Matthew ha costretto quasi un abitante su dieci dell’isola ad abbandonare il proprio rifugio. Sei milioni e novecentomila sono invece le persone che hanno abbandonato la propria casa per via di guerre e violenze lo scorso anno. Di queste, la percentuale maggiore, il 38%, si trova in Africa sub-sahariana. In particolare la Repubblica Democratica del Congo, con 922mila nuovi profughi causati dai violenti scontri nelle aree di North Kivu, South Kivu e Kasa, ha superato la Siria, dove a cercare un nuovo rifugio all’interno del Paese sono stati 824mila persone.

La crisi degli sfollati in Centroafrica. Ma la crisi degli sfollati più grave, secondo il Consiglio Norvegese per i Rifugiati, è quella della Repubblica Centroafricana. In questo Paese, dove la metà della popolazione è costretta a mangiare solo una volta al giorno, è profugo un abitante su dieci a causa delle violenze etnico-religiose fra i musulmani Seleka e le milizie cristiane che perdurano dal 2013. Nonostante ciò nel 2016 le Nazioni Unite hanno ricevuto solo il 38% dei fondi necessari a distribuire aiuti umanitari ai centroafricani. Un dato, quest’ultimo, su cui il segretario generale del Consiglio Norvegese per i Rifugiati, Jan Egeland, non ha mancato di redarguire la comunità internazionale sostenendo che “il supporto economico per alleviare le crisi umanitarie deve essere stanziato in base ai bisogni e non agli interessi geopolitici”.

Più di 40 milioni di profughi interni. Secondo il rapporto alla fine del 2016 sul Pianeta c’erano in tutto 40,3 milioni di sfollati interni provocati da conflitti e violenza. Quasi due volte quelli dell’anno 2000. “Il numero degli sfollati interni ora supera del doppio quello dei rifugiati”, fa notare Egeland. “È urgente tornare a posizionare il tema dei profughi all’interno dell’agenda mondiale”. Alle sue parole fanno eco quelle della direttrice dell’Internal Displacement Monitoring Center, Alexandra Bilak: “Nonostante lo sfollamento interno sia il punto d’inizio di molti viaggi senza ritorno, nella pratica questo fenomeno è stato eclissato da un focus globale sui rifugiati e sui migranti. Dobbiamo riconoscere che, senza appoggio e protezione adeguati, un profugo di oggi può trasformarsi domani in un rifugiato, un richiedente asilo o un migrante internazionale”.

Tre quarti dei rifugiati in 10 Paesi. Del resto, la condizione di profugo è spesso tutt’altro che passeggera. E non solo in Siria, dove nei sei anni di guerra alcune famiglie hanno cambiato “casa” fino a 25 volte. Come evidenzia il rapporto, tre quarti dei profughi del mondo sono concentrati in solo dieci Paesi e, di questi, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Sudan e Sud Sudan figurano nella lista delle nazioni con la popolazione più numerosa di sfollati ininterrottamente dal 2013. In particolare, la Colombia continua a essere il Paese con il maggior numero al mondo di sfollati: 7,2 milioni. Ne ha più della Siria (6,3 milioni), del Sudan (3,3 milioni), dell’Iraq (3 milioni). Nonostante lo scorso anno il governo colombiano abbia firmato uno storico accordo di pace con la guerriglia delle Farc, che ha posto fine a un conflitto che ha generato sfollati interni per oltre 50 anni, il loro numero ha continuato a crescere, anche se con minore intensità rispetto al passato.

La violenza criminale in Sudamerica. Oggi in Colombia, ma anche nel resto dell’America Latina, è soprattutto la violenza criminale, spesso legata al narcotraffico, a produrre profughi. Il 2016 ha posto in questa condizione 171mila colombiani, 23mila messicani, 6200 guatemaltechi. In America centro-meridionale la situazione più allarmante è però quella di El Salvador, dove per una miscela di violenza generalizzata, fatta anche di sparizioni forzate e stupri, ha

costretto ben 220mila persone a lasciare la propria casa in Paese di appena 6 milioni abitanti. Una delle tante crisi che, come scrive il rapporto, riflette “la situazione d’indifferenza internazionale e incapacità degli Stati di proteggere la propria gente”.

(pubblicato il 03/06/2017)