L’estinzione di massa minaccia il nostro cibo

182228393-1add85d0-3a5b-4757-b78f-1e7f75263df9[di Antonio Cianciullo su La Repubblica] L’allarme in un rapporto di Bioversity International: il cambiamento climatico rischia di eliminare la ricchezza genetica che finora ci ha protetto. Già oggi il 75% del cibo mondiale è affidato a 12 colture e a cinque specie animali.

Il caos climatico che abbiamo creato ci spinge a buona velocità verso la sesta estinzione di massa. Vuol dire che rischiamo di perdere gli animali simbolo della bellezza della natura, i grandi mammiferi che ci hanno accompagnato nella storia (la metà della fauna selvatica è sparita negli ultimi 40 anni). Ma vuol dire anche che è minacciata una ricchezza meno scintillante ma fondamentale: la varietà di specie alimentari necessarie alla nostra sopravvivenza. L’allarme viene dal rapporto “Integrare l’Agrobiodiversità nei sistemi alimentari sostenibili” curato da Bioversity International.

I numeri documentano un danno che non lascia margini per ulteriori errori: molte delle 5.538 specie vegetali commestibili sono state perse e appena tre (riso, grano, mais) forniscono più del 50% delle calorie derivate dal mondo vegetale. Più in generale il 75% del cibo mondiale è affidato a 12 colture e a cinque specie animali. Abbiamo puntato tutto su poche specie, non perché siano le più buone o le più sane, ma perché sono quelle che si adattano meglio al sistema industriale che ha espugnato l’agricoltura trasformandola in una macchina che trasforma petrolio (trattori, concimi, trasporti, refrigerazione) in cibo.

I sistemi super intensivi di coltivazione hanno permesso di aumentare la produzione, ma il prezzo è stato alto. L’agricoltura – afferma il rapporto – dà un contributo alle emissioni serra pari al 24% del totale ed è il più grande utilizzatore di acqua dolce sul pianeta (3). Il 62% delle specie a rischio è minacciata dall’espansione dei campi e dei pascoli che coprono già il 38% delle terre emerse. Una situazione in sé preoccupante, ma drammatica alla luce di ciò che succederebbe se non cambiassimo rotta: in ognuno dei prossimi tre decenni il caos climatico ridurrà la produzione agricola del 2%, mentre la domanda di cibo crescerà del 14%.

Dunque aumenterà la spinta a far crescere uno squilibrio già consistente. Dal punto di vista ecologico il rischio è stato evidenziato ad esempio negli anni Settanta, quando le colture di mais negli Stati Uniti sono state minacciate da una malattia che ha fatto danni per quasi un miliardo di dollari: il problema è stato risolto grazie a una varietà selvatica messicana che per fortuna era sopravvissuta. Dal punto di vista sanitario invece l’altra faccia dell’iper industrializzazione del cibo è il trionfo del junk food: oggi quasi due miliardi di persone sono sovrappeso o obese mentre oltre due miliardi mancano delle vitamine essenziali e dei minerali necessari.

Di qui la proposta di un Indice di agrobiodiversità per guidare interventi e investimenti mirati a sostenere sistemi alimentari duraturi e capaci di fornire un adeguato nutrimento. Il cibo infatti non si può misurare solo a chili: 200 grammi di riso al giorno possono rappresentare meno del 25% o più del 65% della dose giornaliera raccomandata di proteine, a seconda della varietà consumata.

La qualità del cibo è legata anche alla qualità del terreno. Da uno studio che mette a confronto sistemi monocolturali e sistemi con diverse specie, risulta che nei campi con maggiore biodiversità ci sono un numero ridotto di parassiti e più predatori naturali. E il trend non è positivo: un’altra ricerca che confronta il contenuto di nutrienti di 43 colture nel 1950 e nel 1999 ha misurato una diminuzione di proteine, calcio, ferro, riboflavina e acido ascorbico.

“La riduzione della biodiversità in campo agricolo è un rischio estremamente grave, ma si può affrontare”, osserva Nadia El-Hage Scialabba, del dipartimento ambiente della Fao. “Lo hanno dimostrato, ad esempio, gli esperimenti che Salvatore Ceccarelli ha condotto in vari Paesi, dall’Africa all’Asia passando per il Medio Oriente e la Francia. La sua tecnica è basata proprio sulla forza della biodiversità: semina campi di grano con 2 mila varietà di semi antichi che nascono fianco a fianco e dimostrano

di essere in grado di reggere meglio delle colture intensive alle difficoltà naturali e agli attacchi delle malattie e dei parassiti. E’ un sistema efficace, economico e alla portata dei contadini poveri. Dunque uno strumento valido per combattere la desertificazione e la fame”.

(Pubblicato il 28/09/2017)