C’è un ‘buco’ in Antartide grande quanto il Portogallo

182901189-7ee41027-c5bd-4759-85b4-3d8e9b99a2fa[di Matteo Marini su La Repubblica Ambiente] Gli esperti: si tratta della polynya di Weddell, un’area di mare circondata dai ghiacci, causata da correnti calde che risalgono verso la superficie. Osservata per la prima volta negli anni 70. Un fenomeno frequente, che non sembra collegato ai cambiamenti climatici.

In Antartide si è aperto un grosso ‘buco’, un pezzo di oceano grande quanto il Portogallo. Una specie di lago gigantesco in mezzo al ghiaccio, a centinaia di chilometri dal bordo della banchisa. È stato osservato, tra gli altri, dai satelliti del Noaa e della Nasa, proprio come 40 anni fa, quando fu scoperta sempre in quel punto una formazione analoga.

Secondo gli scienziati si tratta di una polynia, un’area di mare navigabile circondata dai ghiacci, frequente anche nell’Artico. La sua formazione è dovuta a un fattore in particolare: “La polynya si forma quando una corrente di acqua più calda risale sciogliendo il ghiaccio marino – spiega Massimo Frezzotti, ricercatore dell’Enea, esperto di Antartide – è un fenomeno con un meccanismo conosciuto, anche per queste dimensioni, che possono sembrare considerevoli”. Anche il fatto che si trovi così distante rispetto al confine della banchisa con l’oceano non sembra essere degno di nota. “A differenza di questa, le polynye vicino alla costa si formano da venti catabatici provenienti dal polo che allontanano il ghiaccio di formazione recente” continua Frezzotti.

Riapparsa dopo 40 anni. Le immagini dei primi satelliti per l’osservazione della Terra, a metà degli anni 70, sono le prime testimonianze della cosiddetta Weddel Polynya. Il termine deriva dal russo e si riferisce proprio a un ‘buco’ nel ghiaccio marino. Questa, che si trova appunto nel mare di Weddell, ha superato gli 80.000 chilometri quadrati di superficie ma tra il 1974 e il 1976 aveva raggiunto i 250.000 chilometri quadrati, quasi quanto l’Italia intera.

Come rilevato dal National snow and ice data center di Boulder, in Colorado, negli ultimi quindici anni era riapparsa ma sempre con un’estensione limitata. “Questi dati, evidenziati dal centro di Boulder, ci dicono che non siamo di fronte a niente di eccezionale, se poi evolverà in maniera differente per cause che non conosciamo bisognerà vedere. Per ora è ad appena un terzo della sua estensione massima mai osservata” conlude Frezzotti.

Non solo sembra non essere un fenomeno preoccupante, dunque, ma potrebbe essere anche utile, un po’ come il Passaggio Nordovest, per la ricerca: “È una cosa piuttosto frequente in Antartide – sottolinea Carlo Barbante, direttore dell’Istituto dinamica processi ambientali del Cnr e professore all’università Ca’ Foscari di Venezia – anche così lontano dal limite dei ghiacci marini non è un fenomeno anormale e non sembra collegato ai cambiamenti climatici. Anzi, sono zone molto importanti dal punto di vista naturale, per regolamentare il clima e molto produttive dal punto di vista biologico per quanto riguarda il krill, il fitoplancton e lo zooplancton”.

Infine, soprattutto le polynye costiere, sono da tempo utilizzate per la navigazione: “Contiamo di sfruttare proprio una di queste polynye per trasportare un esperimento scientifico del Cnr alla base francese di Dumont d’Urville, che si trova vicina a un’altra di queste polynye” conclude Barbante.

(Pubblicato l’11/10/2017)