Ambiente e salute: il caso campi elettromagnetici

image[su ARPATnewsIntervista a Susanna Lagorio, del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare, e ad Alessandro Polichetti, del Centro Nazionale per la Protezione dalle Radiazioni e Fisica Computazionale, dell’Istituto Superiore di Sanità.

Un’agenzia come la nostra ha come compito primario il controllo dell’ambiente e la diffusione di informazioni, dati, notizie su di esso. Spesso, però, i cittadini ci chiedono quali implicazioni hanno per la salute i dati che diffondiamo e questo non rientra fra le nostre competenze. Ambiente e salute sono in effetti due “mondi” strettamente connessi ma spesso molto distanti. Secondo voi, che vedete la problematica dal punto di vista della salute, per integrare di più questi due mondi cosa potrebbero fare da un lato le agenzie per la protezione dell’ambiente e dall’altro gli enti/istituti/agenzie che operano in campo sanitario?

Con competenze diverse (epidemiologa e fisico), abbiamo una lunga esperienza di collaborazione nella ricerca sui rischi da campi elettromagnetici. La risposta a due voci suggerisce che la distanza si riduce attraverso progetti condivisi e ciò si applica anche all’auspicabile sinergia tra mondi complementari a fini di tutela della salute e dell’ambiente.

È difficile, tuttavia, immaginare una formula d’integrazione ambiente-salute multiuso, valida per ogni tipo di attività (caratterizzazione dell’esposizione, ricerca sugli effetti, valutazione dei rischi, elaborazione degli standard di protezione …) e indipendente dalle specificità dei diversi agenti e patologie. Una strategia comune ci sembra comunque più utile di azioni indipendenti, ma presuppone disponibilità all’interazione e sintonia di obiettivi.

Il tema dei rischi per la salute da campi a radiofrequenza (RF), un’esposizione ubiquitaria da molteplici sorgenti, si presta ad illustrare la necessità di relazioni “elastiche” tra agenzie a diversa vocazione, capaci di adeguare i rispettivi compiti ai problemi attuali.

Eventuali rischi da esposizione di lunga durata a livelli di RF inferiori agli standard per la prevenzione degli effetti termici (gli unici finora accertati) sono oggetto d’intensa attività di ricerca.

L’OMS ha assegnato un’alta priorità alle indagini di misura dell’esposizione personale a RF nella popolazione generale e del contributo delle diverse sorgenti. I risultati sono necessari per la valutazione dei rischi, comunicazione delle evidenze, sviluppo della ricerca epidemiologica e analisi dei cambiamenti nel tempo dei livelli e delle fonti di esposizione.

Dati sull’esposizione personale a RF, e sul peso relativo delle sorgenti ambientali (radio-TV, telefonia mobile, WiFi) e di quelle di uso personale (cellulari, cordless e altri dispositivi wireless), sono oggi disponibili in molti paesi europei ma non in Italia.

Il monitoraggio e il controllo delle emissioni da sorgenti fisse di RF, in applicazione della normativa nazionale, hanno assorbito quote ingenti delle risorse delle agenzie del Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente (SNPA), lasciando poco spazio ad altre attività.

Colmare questa lacuna informativa potrebbe diventare l’obiettivo, coerente con le priorità di ricerca internazionali, di un progetto collaborativo tra SNPA, ISS e altri enti.

Quando emergono problematiche ambientali in territori specifici da parte dei cittadini e delle loro associazioni, si fa appello a risposte di carattere sanitario che in qualche modo vanno ricondotte alla epidemiologia ambientale, ma questa ha tempi necessariamente lunghi, talvolta opera sulla base di numeri molto ridotti, cosa è possibile fare per migliorare questa situazione?

Studi epidemiologici inadeguati per dimensioni o qualità producono risultati non informativi e sono quindi uno spreco di risorse e possibile fonte di allarme ingiustificato. In risposta a criticità da sorgenti di campo elettromagnetico, ci sembrano più opportune accurate caratterizzazioni dell’esposizione e incontri con i cittadini dedicati a illustrare e discutere i dati ambientali e le evidenze sui rischi, preparati in collaborazione dalle agenzie ambientali e sanitarie.

EpiAmbNet è un’esperienza avviata di integrazione salute-ambiente a fini di formazione/informazione, ma lo spazio dedicato ai CEM è limitato alle basse frequenze (50 Hz). Un progetto dedicato alle radiofrequenze sarebbe un utile complemento.

Negli studi epidemiologici si parla spesso di “morti che si possono evitare”, volete spiegarci questo concetto?

Si stima l’impatto dell’esposizione a determinanti causali (accertati o presunti) del rischio di specifiche malattie, come mortalità (decessi) o incidenza (nuovi casi) su base annuale. I casi “attribuibili” al fattore di rischio vengono considerati “evitabili” rimuovendo l’esposizione. Queste stime sono molto sensibili alla scelta del modello dose-risposta e spesso incerte per scarsità di dati sulla distribuzione dell’esposizione individuale nella popolazione in esame.

Indicatori di questo tipo sono stati calcolati per il rischio di leucemia infantile da esposizione a campi magnetici a 50 Hz. L’associazione si basa su una consistente evidenza epidemiologica d’incerta natura causale perché non supportata dalle evidenze sperimentali né da plausibili meccanismi patogenetici. In questo caso, le stime dei casi attribuibili all’esposizione erano utili a valutare il rapporto costi/benefici di diverse opzioni di gestione dei rischi.

Parlando con un medico ospedaliero che opera in un campo specialistico, ma che ha a che fare con moltissime donne, l’ho sentita enumerare una serie di territori di origine di sue pazienti con patologie analoghe che le facevano presupporre possibili cause/connessioni a problematiche ambientali. Esistono degli strumenti (banche dati o altro) utili per verificare queste situazioni?

I cluster spazio-temporali si possono accertare con diversi metodi statistici, ammesso che siano disponibili serie storiche dell’incidenza delle patologie d’interesse tra i residenti in una determinata area geografica. Va detto che i risultati degli studi ecologici, incluse le analisi di cluster, presentano problemi interpretativi che ne limitano l’utilità a fini di valutazione dei rischi.

Si parla da tempo, anche nei rapporti dell’Agenzia europea per l’ambiente, della possibilità del coinvolgimento dei cittadini nei monitoraggi ambientali, è la cosiddetta “citizen science”. Cosa ne pensate?

È un modello interessante dal punto di vista socio-politico ma di difficile applicazione nel contesto attuale della ricerca sugli effetti dei campi elettromagnetici. Gli studi epidemiologici con autoselezione dei partecipanti e popolazione di origine non identificata non sono utilizzabili per le valutazioni di rischio.

Il monitoraggio accurato dei livelli ambientali dei campi richiede strumentazione e competenze specialistiche e anche nelle indagini di misura dell’esposizione personale a RF vengono usati strumenti dal costo ancora troppo elevato per essere utilizzabili in esperienze di cittadinanza attiva.

(Pubblicato il 26/10/2017)