ILVA e diritti umani

ILVA[di Marica di Pierri, Presidente CDCA, 13 aprile 2018]

Un dossier documenta le violazioni dei diritti umani operate dallo stabilimento di Taranto sulla popolazione residente e ricostruisce le responsabilità politiche nell’emergenza ambientale della città ionica

È stato presentato oggi a Roma il report “Il disastro ambientale dell’ILVA di Taranto e la violazione dei diritti umani“, realizzato dalla Federazione Internazionale dei Diritti Umani – Fidh assieme all’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani, Peacelink e HRIC – Human Rights International Corner.

Nel 2011 la Fidh, di concerto con le organizzazioni brasiliane Justicia Global e Justicia nos Trilhos, ha lavorato alla pubblicazione di un rapporto sulle violazioni dei diritti umani connesse all’industria siderurgica How Much are Human Rights worth in Brasilian steel industry?, che ha documentato in particolare le violazioni del diritto alla salute e ad un ambiente sano operate dalla multinazionale Vale in Brasile nelle attività estrattive e industriali legate alla produzione di acciaio. Negli anni successivi, lungi dal fermarsi oltreoceano, la Fidh ha ricostruito il filo delle violazioni che segue passo passo la filiera dell’acciaio, arrivando dai luoghi di estrazione in Brasile fino ai poli di produzione in giro per il mondo, tra cui lo stabilimento ILVA di Taranto, che lavora e processa il minerale di ferro estratto nel paese latinoamericano.

In questo nuovo rapporto, realizzato in collaborazione con le associazioni italiane prima menzionate, vengono sistematizzate le evidenze epidemiologiche emerse in questi anni in riferimento all’impatto dell’ILVA sulla popolazione tarantina e ripercorso il conflitto tra potere giudiziario ed esecutivo che ha portato, dopo l’ordinanza di chiusura firmata dal Gip Todisco, all’approvazione di dieci provvedimenti governativi, conosciuti come Decreti Salva Ilva, che hanno di fatto privato di efficacia l’azione della magistratura. Sul caso la Corta Costituzionale si è pronunciata poche settimane fa con un importante (sentenza n.58 del 23 marzo 2018) in cui afferma in maniera chiara che il governo italiano ha privilegiato in maniera eccessiva attraverso i decreti gli interessi dell’impresa trascurando i diritti fondamentali della popolazione, come il diritto alla salute e alla vita. La sentenza ha avuto poca risonanza mediatica rispetto all’importanza dei pronunciamenti in essa contenuti, soprattutto alla luce del suo valore trascendente che, lungi dal riguardare solo il caso tarantino, mette in questione in generale l’equo bilanciamento di interessi tra libertà d’impresa e diritti umani.

Il dossier riporta il ricorso presentato presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo da 207 ricorrenti, congiunti di bambini deceduti o persone ammalate di patologie oncologiche ed altre gravi patologie legate all’esposizione alle emissioni inquinanti. La Corte dovrà pronunciarsi sulla violazione di tre articoli della Cedu, specificamente l’art.2 (Diritto alla vita), l’art.8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare), che estensivamente configura, nella giurisprudenza della Corte il diritto all’ambiente salubre e l’art.13 (Diritto ad un ricorso effettivo, per far valere la violazione dei diritti fondamentali). Il ricorso è seguito dal legale Anton Giulio Lana, docente universitario e Presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani; il pronunciamento è atteso entro la fine del 2018.

La parte finale del Dossier contiene infine una importante serie di raccomandazioni al Governo Italiano, ai futuri proprietari di ILVA e alle istituzioni europee ed internazionali affinché agiscano con urgenza per rimuovere i pesanti fattori di rischio per l’ambiente e la salute presenti nel caso tarantino, agendo ciascuno per la propria specificità e competenza.

Particolare attenzione è dedicata alle richieste rivolte al governo, affinché adempia integralmente al dovere di protezione dei diritti umani nei confronti di violazioni perpetrate dalle imprese attraverso l’adozione di una serie di misure che vanno dalla bonifica, al rispetto degli impegni presi nel Piano di Azione Nazionale su imprese e diritti umani, all’azione urgente per la limitazione dei danni ambientali prodotti con particolare riferimento ai soggetti più vulnerabili – come donne e bambini, all’incentivo allo sviluppo di attività economiche di riconversione dei terreni inquinati.

Tra le organizzazioni firmatarie dello studio c’è Peacelink, associazione di Taranto da sempre in prima linea nella denuncia delle responsabilità d’impresa e politiche legate all’emergenza ambientale della città ionica.
Alessandro Marescotti, proprio di Peacelink, ha lanciato durante la Conferenza stampa un appello alle istituzioni, tra cui il Sindaco di Taranto e i funzionari addetti alla tutela della salute pubblica affinché venga commissionata e svolta in tempi brevi un’indagine sanitaria a tappeto sui lavoratori della cokeria, considerata il reparto più critico dello stabilimento a causa dell’alta incidenza di decessi e malattie tra i lavoratori.

L’ILVA rappresenta un caso paradigmatico dell’ineffettività del sistema posto a tutela dei diritti umani legati all’ambiente nel nostro Paese. La pressione sociale e il prezioso lavoro di denuncia e reporting posto in essere dalle organizzazioni ambientaliste e di tutela dei diritti umani rappresenta in questa campale battaglia un elemento di grande utilità per garantire la protezione dei diritti umani fondamentali riconosciuti dal nostro ordinamento e dalle convenzioni internazionali che l’Italia ha firmato.