Campania: la risposta al biocidio di chi produce circolare

5[di Vincenzo Forino per CDCA Campania]

 

Una vasta zona della regione Campania è oramai tristemente nota ai più come “Terra dei Fuochi”. 

La motivazione è da addurre al fatto che negli ultimi decenni la nostra regione è stata teatro, tra gli altri, di tre fenomeni molto gravi: quello dei cosiddetti  “roghi tossici”, l’interramento di rifiuti speciali, e gli incendi di discariche, depositi e degli impianti di smaltimento di rifiuti urbani e speciali, anche pericolosi. 

Questi fenomeni sono nati e si sono evoluti in maniera differente, ma hanno spesso avuto la stessa regìa, la quale si è esplicata attraverso la cooperazione tra ecomafie, imprenditori senza scrupoli e rappresentanti istituzionali corrotti. 

Il primo fenomeno è nato per l’esigenza di quelle aziende (soprattutto locali) che producevano in regime di evasioni fiscale di far letteralmente sparirei rifiuti prodotti poichè non potevano essere smaltiti in maniera legale ed esisteva il rischio che, qualora rimanessero intatti, potessero ricondurre a coloro che li avevano prodotti. Il secondo ha avuto luogo poiché alcune industrie (principalmente del nord Italia e del nord Europa) si sono rivolte alla criminalità organizzata (che da anni gestisce il trasporto dei rifiuti) per abbattere i costi di smaltimento relativi ai propri scarti di lavorazione. Infine dietro il terzo fenomeno (diffuso oramai in tutto il Paese) pare ci siano interessi economici legati allo smaltimento dei rifiuti speciali, infatti quelli combusti hanno dei costi di smaltimento assai maggiori rispetto alle altre tipologie di rifiuti. Spesso, però, c’entra il cosiddetto “giro di bolla”: cioè faccendieri della peggior specie organizzano il trasporto di rifiuti speciali, anche pericolosi, in capannoni adibiti allo stoccaggio di rifiuti urbani, li si avvolge al cellophane e si sostituisce il codice Cer con quello, ad esempio, della plastica. Dopodichè, una volta esaurito lo spazio nei suddetti capannoni, vi si appicca un incendio.  Ma c’è anche un’altra spiegazione per tale fenomeno, soprattutto per quanto concerne gli impianti di smaltimento della plastica, i quali sono quelli che maggiormente sono stati presi di mira dai piromani, negli ultimi mesi. Tale spiegazione è da ricondurre al fatto che la maggior parte della plastica smaltita finiva in Cina ma da alcuni mesi il governo cinese ha vietato l’importazione di tali materiali e quindi le aziende nostrane che li smaltivano si sono ritrovate dalla sera alla mattina senza il loro maggior compratore.  

Quello dell’invasione della plastica e della estrema difficoltà a smaltirla non è chiaramente una questione che attanaglia esclusivamente il nostro Paese. Basti pensare all’enorme problema rappresentato dall’invasione dei mari di materiali plastici che stanno compromettendo in maniera talvolta irreversibile la vita marina. Un esempio fra tutti è il cosiddetto “Pacific Trash Vortex”: un immenso agglomerato di rifiuti grande almeno quanto l’intera Francia, secondo le ultime stime, il quale nel 2013 è stato riconosciuto dall’Unesco come nuovo Stato. 

Questi fenomeni hanno tutti un comune denominatore e cioè quello di essere espressione del cosiddetto “biocidio”, la distruzione di tutto ciò che è vita. Conseguenza questa di un modello di sviluppo malato e di un sistema economico, quello capitalista, improntato sulla produzione di massa, il consumo convulso di ciò che è prodotto, la distruzione di ciò che è considerato non più utile e lo sfruttamento schizofrenico delle risorse terrestri, in nome del profitto ad ogni costo. 

Appare evidente come i fenomeni sopradescritti non possano essere superati se non si mette in moto un radicale cambio di rotta incentrato sulla costruzione di un modello economico differente. Da queste riflessioni nasce il modello economico “circolare”, un sistema pensato per potersi rigenerare da solo, contrapponendosi a quello lineare. Tale modello è incentrato su alcuni princìpi basilari: il primo è che non esistono i rifiuti ma che esistono le risorse; che l’energia dovrebbe provenire dal flusso generato dalle forze naturali e che si debbano ridurre gli sprechi attraverso il riuso, l’estensione della vita dei prodotti, la produzione di beni di lunga durata, le attività di ricondizionamento e la riduzione della produzione di rifiuti. 

Aziende che stanno facendo propria questa filosofia stanno aumentando in tutto il mondo. Ed in Campania, proprio in piena Terra dei Fuochi, sono nate realtà importantissime che, con non poche difficoltà e in contesti per nulla semplici, stanno provando  a costruire l’alternativa. 

Tra le altre spicca la società “Erreplast” uno dei  principali produttori italiani di scaglie in PET da riciclo che si trova a Gricignano di Aversa, in provincia di Caserta. L’impianto per  il recupero delle materie è in grado di trattare oltre 20.000 tonnellate annue di contenitori in PET post-consumo. I contenitori per liquidi in plastica Pet riciclati nel 2014 hanno consentito un risparmio di emissioni pari a 13.702,60 tonnellate di CO2. Erreplast assieme alla Società Recupero Imballaggi (SRI), la più grande linea in Italia e la seconda in Europa per la selezione e il riciclo di imballaggi in plastica provenienti dalla raccolta differenziata, costituisce un sistema industriale integrato unico nel sud Italia. Un innovativo polo di selezione e riciclo che occupa una superficie di 80.000 metri quadrati e che dà lavoro a 150 persone. Inoltre, questa combinazione di selezione e riciclo consente la riduzione di circa 860 mezzi stradali che altrimenti dovrebbero andare su e giù per la Penisola, l’abbattimento di oltre 103mila tonnellate di CO2 equivalente e la sottrazione di scariche di oltre 840mila metri cubi di imballaggi che, diversamente, finirebbero in discarica o negli inceneritori. Tutto ciò ha dato vita al cosiddetto “Ecosistema Sud”. 

Un “ecosistema” che, per quanto virtuoso, da solo non è bastevole. A fronte della necessità dell’intera umanità di non far sforare la temperatura globale oltre i due gradi centigradi diviene sempre più urgente l’intervento dei governi, i quali hanno il dovere di sostenere e promuovere tali realtà affinchè da casi isolati diventino la norma.