Miteni: storia di una contaminazione ambientale

[Laura Landi per CDCA]

Il fallimento della Miteni: storia di una contaminazione ambientale

Non si può comprendere la dichiarazione di fallimento della Miteni Spa, azienda simbolo dell’inquinamento a Trissino (VI), senza guardare anni di lotte, cortei e battaglie legali.
Sono anni che la popolazione delle province di Vicenza, Verona e Padova protesta contro le attività della Miteni, attualmente indagata per disastro ambientale relativo all’inquinamento da Pfas, sostanze perfluoroalchiliche responsabili di gravi patologie mediche.
Era il 2013, e gli abitanti vicentini, padovani e veronesi, a seguito di uno studio condotto dal CNR, sono venuti a conoscenza dell’elevata presenza di questi composti nelle acque (superficiali, potabili e di falda) delle tre province. Si è quindi attivata l’Arpav che, grazie a una serie di campionamenti eseguiti in punti strategici, ha dato un nome al responsabile dell’inquinamento: Miteni S.p.A., l’azienda chimica che lavora a Trissino dal 1965. La vicenda è venuta fuori solo nel 2013, ma le attività contaminanti cominciano almeno al 1977.
I cittadini, riuniti in comitati quali il Coordinamento Acqua Libera dai Pfas e le Mamme No Pfas, hanno lottato a lungo per far luce sulla questione e procedere legalmente contro l’imputato: sono stati anni di manifestazioni, di lotte per sensibilizzare la cittadinanza, di esposti per denunciare chi ha inquinato le acque sversando sostanze perfluoroalchiliche in maniera incontrollata e senza interrogarsi sulle conseguenze.

Il danno sanitario

Sono stati anche anni di scoperte sempre più preoccupanti: da quella dei rifiuti industriali sotterrati illegalmente probabilmente negli anni ’70 dalla Miteni, agli allarmanti risultati degli esami del sangue condotti sugli adolescenti della cosiddetta ‘zona rossa’, che hanno fatto emergere una presenza anomala di Pfoa (Acido Perfluoro Ottanoico) pari a una media di circa 64 nanogrammi/grammo (per capire la profondità del problema, si pensi che la media presente nelle persone monitorate al di fuori dell’area dell’inquinamento è di di 2-3 nanogrammi).
La situazione è apparsa ancora più grave nel luglio 2018, quando si è scoperto che tra il 2014 e il 2017 la Miteni avrebbe ricevuto da un’azienda olandese fino a 100 tonnellate annue di rifiuti chimici pericolosi contenenti GenX (una sostanza del gruppo dei PFAS, di difficile degradazione e potenzialmente cancerogena), senza ricevere alcun limite allo sversamento della sostanza. Siamo davanti a una situazione che appare sempre più critica mano a mano che nuove scoperte riguardanti le attività della Miteni vengono fatte.
Alcuni medici attivi nella zona, come Elisa Dalla Benetta, hanno sottolineato che bisogna tenere conto del fatto che le relazioni ufficiali relative allo stato di salute della popolazione esposta alla contaminazione da Pfas non si avvicinano al loro reale stato di salute, che sarebbe invece addirittura peggiore. Dalla Benedetta ha per esempio spiegato che fra i suoi pazienti ha riscontrato un valore altissimo di ferritina, indice di infiammazioni croniche, così come molti più casi della media per quanto rigurda Alzheimer, disturbi dell’apprendimento, infarti, ictus e casi di pubertà precoce, casi di tumore (rene e testicolo in particolare) imputabili all’inquinamento da Pfas, e anomali casi di aborto spontaneo.

Le indagini

Anni di mobilitazione che stanno cominciando ad ottenere i primi risultati: a marzo 2018 il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza (della durata di 12 mesi) in relazione alla contaminazione da PFAS delle acque di falda dei territori delle province di Padova, Verona e Vicenza. La Procura di Vicenza indaga intanto per disastro ambientale e ha continuato a ricevere esposti da parte dei comitati dei cittadini e da Greenpeace che hanno chiesto il sequestro preventivo dell’azienda chimica.
Il 30 ottobre il CovePA (Coordinamento Veneto Pedemontana Alternativa) ha tenuto una conferenza stampa riguardante i PFAS e la Miteni: sono stati presentati due documenti che fanno emergere nuovi dubbi sull’intera vicenda e dimostrano la gravità dei comportamenti della provincia di Vicenza, del sindaco di Trissino, della Regione Veneto e dell’ARPAV: sembrerebbe infatti che la ricerca dei responsabili dell’inquinamento e delle modalità ottimali per la bonifica sia stata resa più difficoltosa, e che si sia cercato di non trovare qualcosa piuttosto che di trovarlo.
Nel frattempo, i consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle del Veneto hanno chiesto di togliere le indagini sulla vicenda Pfas alla Procura di Vicenza per affidarle invece a Venezia, accusando la Procura di Vicenza di non aver fatto nulla di concreto negli ultimi due anni per trovare una soluzione alla situazione.

L’ennesima beffa: il fallimento

Ecco allora che l’azienda simbolo dell’inquinamento, dopo cortei e battaglie legali, a ottobre 2018 ha presentato istanza di fallimento al Tribunale di Vicenza: il consiglio di amministrazione di Miteni Spa ha preso atto dell’impossibilità di attuare il piano industriale dell’azienda. Non è possibile infatti giungere alla definizione certa dei tempi di sblocco delle produzioni interdette, tenendo in conto anche le numerose diffide e richieste onerose giunte dalla Provincia di Vicenza che comporteranno l’interruzione di tutte le attività produttive.
Non si tratta di una buona notizia per i lavoratori della Miteni, già da tempo preoccupati per la loro salute e che il 27 ottobre hanno scioperato per protestare, dopo l’annuncio dell’azienda di portare i libri in tribunale. Secondo il segretario generale della Cgil di Vicenza, Giampaolo Zanni, la decisione della Miteni è quanto di peggio ci si potesse aspettare dall’azienda, in quanto dichiarando il fallimento dimostra di non volersi assumere le proprie responsabilità, scaricando invece sui lavoratori e sui cittadini i problemi derivanti dall’inquinamento da Pfas. I lavoratori sono così lasciati sia senza rassicurazioni circa i danni sulla loro salute, sia senza una prospettiva occupazionale. A conferma di queste preoccupazioni, la Miteni ha avviato la procedura di licenziamento di 121 lavoratori.

Non è finita: la battaglia al Parlamento Europeo

Continua intanto la battaglia delle Mamme No Pfas, non soddisfatte della direttiva acque approvata dal Parlamento Europeo: la proposta portata alla commissione ambiente fissava il limite delle sostanze perfluoroalchiliche, responsabili dell’inquinamento delle falde venete, a 300 nanogrammi al litro; il Partito Popolare Europeo ha alzato il limite a 500 nanogrammi al litro. Inoltre, il testo che è stato approvato distingue tra Pfas a catena lunga e Pfas a catena corta (gli unici ancora in uso), ponendo un limite preciso solo per i primi, che sono anche quelli la cui produzione è cessata ormai un decennio fa.
Si tratta dunque di una battaglia tutt’altro che conclusa, e i cittadini non sono più disposti ad accontentarsi di mezze misure di fronte a quella che appare come una situazione estremamente critica per la loro salute.