“I pesticidi nel bacino del Po”: rifornisce 20 milioni di italiani

Foto-Zappi-tramonto-lunga[di Pietro Mecarozzi per il Fatto Quotidiano, 26 agosto 2019] Dai nostri rubinetti, nella frutta e nella verdura che mangiamo, forza trainante nella produzione sia industriale sia agricola. L’acqua dolce, quella ricavata dalle falde e dalle acque superficiali, ha un ruolo fondamentale nella nostra vita e pertanto deve rispettare determinati standard igienici e qualitativi. In Italia, molto spesso, questo non accade.
Dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) arrivano dati inquietanti: il bacino demografico dipendente dalle acque del Po, circa 20 milioni di persone, attinge da falde contaminate da pesticidi. Dello stesso parere è anche l’Agenzia europea dell’ambiente, che evidenzia un’elevata percentuale delle acque di falda non in buone condizioni, mentre Greenpeace individua tra le principali minacce le grandi quantità di pesticidi, nitrati, fertilizzanti e antibiotici provenienti dagli allevamenti intensivi. Come se non bastasse, 350 mila persone delle province venete, stanno vivendo una vera contaminazione da Pfas, o acidi perfluoroacrilici, dopo che quest’ultimo ha inquinato in profondità la seconda falda più grande d’Europa. L’acqua che esce dai rubinetti viene dalle falde e dai fiumi italiani. Per la potabile vengono effettuati ulteriori controlli e applicati filtri, anche se in passato più volte è accaduto che sulle tavole di milioni di cittadini è arrivata acqua contaminata.

C’è poi il dossier di Viterbo, ben noto alla Commissione europea tornata a bacchettare l’Italia a inizio 2019 in quanto sono stati “disattesi gli obblighi imposti dal diritto Ue sulla qualità delle acque destinate al consumo umano”. Sono circa 100 mila gli ignari abitanti dei comuni limitrofi che hanno bevuto per anni acqua con arsenico e fluoruri, in alcuni casi, come nel comune di Farnese, con valori due volte superiori ai limiti di legge. Cambiando regione, ai piedi del Gran Sasso due gli elementi potenzialmente inquinanti: i laboratori sotterranei dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e la galleria autostradali da oltre 10 km, minacciano l’acquifero che rifornisce circa 700mila persone tra L’Aquila, Pescara e Teramo con composti chimici di varia natura.

Secondo il rapporto European Waters, un terzo delle falde acquifere in Italia è in pessime condizioni: solo il 58% di quelle sotterranee sono in buono stato, contro la media Ue del 74%, di cui il 34% è considerato “povero”, ovvero bisognoso di interventi per migliorarne la struttura chimica. Fra tutte il caso più grave è l’acqua del Po. L’arteria principale del Paese vanta un reticolo idrico, per concentrazione di popolazione e cluster industriali, tra i più capienti d’Italia, ma non per questo tra i più sicuri. “Quando i pesticidi giungono in falda, il processo di deterioramento si annulla, facendo sì che la contaminazione difficilmente possa essere rimossa”, spiega Pietro Paris, responsabile della Sezione Sostanze Pericolose dell’Ispra. “Dal bacino del Po si riforniscono circa 20 milioni di persone: vivendo, alimentandosi e facendo uso agricolo e industriale dell’acqua sotterranea”. Il risultato pertanto è di facile lettura: “Abbiamo riscontrato valori altamente sopra i limiti, sia nel fiume sia nelle riserve del sottosuolo. Prendiamo il caso dell’atrazina, vietata in Italia dal 1992: la concentrazione di questo erbicida è contenuta in superficie, mentre i dati riguardanti la falda evidenziano un tasso superiore di ben quattro volte rispetto ai limiti di legge”. Quindi il moto naturale del corso d’acqua ne limita effetti e durata, mentre l’immobilismo e la tenuta stagna della falda conserva le proprietà dei pesticidi da almeno 15 anni. Tre dei principali gestori di rete idriche, il Gruppo Hera, Acquevenete e Acque Veronesi, assicurano che la qualità delle acque pubbliche viene accuratamente controllata, con particolare attenzione per i Pfas. Dai vertici politici delle regioni in cui il fiume trova cittadinanza, invece, è silenzio assoluto.
Quello che emerge, in sostanza, dai molti enti coinvolti, è una conoscenza a singhiozzo, non particolarmente approfondita sulla presenza di pesticidi in falda. “Nonostante i report dell’Ispra, siamo arrivati al punto che in molte regioni ci sono stati casi dove è stata distribuita a centinaia di migliaia di persone acqua rivelatasi poi contaminata da sostanze che in realtà non venivano nemmeno cercate”, commenta Augusto De Sanctis, attivista Forum H2O. “I dati sui pesticidi sono solo la punta dell’iceberg di una situazione di vasta compromissione. Molte molecole nelle acque di falda non vengono neanche cercate: con il risultato di falde che presentano livelli di compromissione milioni di volte oltre i limiti di legge. Perché non si interviene? Semplice, i vincoli ferrei bloccherebbero le fabbriche, lo spargere dei pesticidi e la realizzazione di cave”. Quindi, spiega l’ambientalista, a volte è meglio non sapere. I meccanismi di azione dei pesticidi recentemente sono stati tradotti in effetti sanitari, aprendo un vaso di Pandora. “Del problema del Po, bisogna valutare quanti pesticidi vengono poi realmente analizzati e bloccati prima dell’uscita dai rubinetti. È chiaro che molti pesticidi, in forza di unioni in cocktail chimici, non possono essere individuati e di conseguenza rimossi – afferma Patrizia Gentilini, medico oncologo ed ematologo, nonché rappresentante Isde (Associaazione medici per l’ambiente) – La situazione è drammatica, considerando la letteratura scientifica che riguarda l’esposizione cronica ai pesticidi: assorbendoli dall’acqua, dagli alimenti e dal contatto, siamo giunti oggi a parlare di esposoma, ovvero il fenomeno per cui entriamo in contatto con questi elementi sin dalla nascita. L’esposizione indebolisce i meccanismi di riparazione automatici dei danni al Dna, il che significa più vulnerabilità alle malattie tumorali, a quelle neurologiche, degenerative e, per i bambini, il rischio triplicato di autismo”.

POCO LONTANO, l’i mpatto nella Pianura Padana, nelle province di Cremona, Mantova e Brescia, assume toni allarmanti. Negli allevamenti intensivi (la zona ospita oltre la metà dei suini italiani), l’uso degli antibiotici si ripercuote in tre modi sui cittadini: attraverso le feci degli animali con le quali vengono concimati i terreni coltivati, tramite la carne macellata e per via idrica. Quindi l’inquinamento delle acque o del suolo con antimicotici e antibiotici fa sì che nell’ambiente prenda vita una proliferazione di batteri resistenti ai farmaci. L’antibiotico resistenza è una delle principali minacce per la salute pubblica e le acque provenienti da una roggia e da due canali irrigui in questa zona della pianura sono i maggiori sospettati. “Il risultato delle provette notifica un livello più alto della media europea per la presenza di farmaci veterinari”, spiega Federica Ferrario, responsabile Progetti speciali di Greenpeace Italia. “Sono stati rilevati 12 farmaci veterinari: nel campione della Roggia Savarona ci sono 11 farmaci”.

Spostandoci di poco verso est, nel bacino di Verona, Vicenza e Padova, troviamo uno dei disastri più longevi della storia d’Italia. Tutto ha inizio nel 2006, quando il progetto europeo “Perforce” avvia un ’indagine per stabilire la presenza di perfluorati nelle acque e nei sedimenti dei maggiori fiumi europei. Il Po presenta livelli più elevati del normale, così che, solo nel 2011, anche il ministero dell’Ambiente decide di intervenire per valutare il rischio associato ai Pfas. L’inquinamento si rivela più grave del previsto e ad oggi il maggiore indiziato risulta essere l’azienda chimica Miteni Spa di Trissino: la Procura di Vicenza ha chiesto il rinvio a giudizio per 9 manager, con le accuse di avvelenamento delle acque e disastro innominato. Per l’accusa, l’azienda che si occupa di concia delle pelli, avrebbe versato mille tonnellate di Pfas in 10 anni. Un caso grave: giù in profondità i pesticidi, usati per proteggere le coltivazioni, finiscono nel terreno, fino a raggiungere le falde da dove poi viene presa l’acqua da bere. Sono coinvolte 350mila persone contaminate destinate a diventare 800mila, oltre 80 Comuni interessati, 700 km quadrati di territorio compromesso, 95mila cittadini sottoposti a biomonitoraggio di cui 6 su 10 vengono inviati a fare visite specialistiche. “I Pfas si legano al recettore per il testosterone, riducendone di oltre il 40% l’attività indotta e pertanto il potenziale di fertilità”, dice Carlo Foresta, professore di Endocrinologia presso l’Università di Padova ed esperto di Pfas. “L’elevata presenza di Pfas all’interno della circolazione fetale in donne in gravidanza potrebbe determinare anomalie nello sviluppo del feto. Queste sostanze chimiche intaccano lo sviluppo antropometrico nell’uomo, modificandone gli equilibri e la crescita degli arti”. La sostanza, assimilata nel sangue, può inoltre rimanere in circolo per 10 anni, provocando forme di diabete e alcuni tipi di cancro.

Cambiando location, la storia si trasforma; o meglio, sparisce. “La situazione al Sud è complicata. Il problema di fondo è una conoscenza tutt’ora inadeguata: la Calabria, per esempio, non ci ha mai inviato un dato sul monitoraggio dei pesticidi, quindi è impossibile per noi sapere lo stato di contaminazione della regione”, commenta Paris. Anche se, buttando un occhio ai 18 siti di interesse nazionale a rischio nel Meridione, la situazione non sembra poi molto diversa.