Ambiente e clima: i fatti salienti del 2017

Terra-in-pericolo-1030x615[di Marta Buonadonna su PanoramaQuasi solo brutte notizie quelle registrate nel corso di quest’anno, tra nuovi record di temperature e CO2 e decisioni politiche catastrofiche.

Non è stato un bell’anno per l’ambiente, ma ormai sono diversi anni che tocca constatare la stessa cosa: la salute della Terra peggiora, le sue prospettive si fanno sempre più cupe e la politica è lentissima nel prendere decisioni che possano porre rimedio al problema. La gravante, in questo 2017 che sta per chiudersi, è stata rappresentata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che sembra aver dichiarato guerra non al climate change, bensì a chi lo combatte.

Caldo record, per l’ennesima volta

Il 2017 si è aperto con la notizia, contenuta in un rapporto della Nasa, che il 2016 era stato l’anno più caldo di sempre. L’anno si chiude con la previsione della World Meteorological Organization che il 2017 verrà ricordato come il secondo o il terzo anno più caldo di tutti i tempi. Da gennaio a settembre la temperatura media globale è stata di 1,1 °C sopra i livelli preindustriali. Giova ricordare che il limite che i paesi che hanno firmato l’accordo di Parigi si sono dati è di non superare se possibile 1,5 °C di aumento, una soglia pericolosamente vicina.

Oltre alle alte temperature, il 2017 ha avuto anche la sua bella dose di eventi catastrofici, tra cui uragani, inondazioni, ondate di calore e siccità, fanno notare gli esperti del WMO. I cambiamenti climatici possono rendere gli eventi meteorologici più estremi di quanto non sarebbero altrimenti. Ne abbiamo avuto un intero catalogo di esempi quest’anno.

Ghiacci ai minimi

Nel mese di marzo entrambi i poli terrestri hanno raggiunto il record minimo di ghiaccio. Per gli esperti americani del National Snow and Ice Data Center, negli ultimi 30 anni il Polo Nord si è scaldato più di qualsiasi altra regione del pianeta. Alcuni cambiamenti sono naturali e stagionali, ma le coperture massima e minima registrate nel corso di quest’anno sono le più basse mai viste sia nell’Artico che in Antartide. In particolare nell’Artico la copertura massima dell’anno raggiunta il 7 marzo ed era di 14,4 milioni di chilometri quadrati: la più bassa da quando è cominciata l’osservazione con i satelliti, 38 anni fa. Stiamo parlando di 97.000 chilometri quadrati di ghiaccio in meno rispetto al precedente record negativo del 2015.

Non si tratta di singoli anni neri ma di un autentico trend: a partire dal 1979 ogni decennio l’estensione del ghiaccio nell’Artico è calata in media del 2,8%, secondo i dati forniti dalla Nasa. E se consideriamo solo l’estensione massima il calo è ancor più evidente: 13,5% in media per ogni decennio.

Nel frattempo al polo opposto, il 3 marzo, che segna la fine dell’estate nell’emisfero Sud, il ghiaccio marino che circonda l’Antartide si è ritirato alla sua misura più bassa mai registrata dai satelliti: 184.000 chilometri quadrati in meno del record negativo precedente, registrato nel 1997.

A luglio si è anche staccata dal segmento Larsen C della piattaforma di ghiaccio Larsen della penisola antartica una porzione di ghiaccio grande due volte lo stato del Lussemburgo. E’ uno dei 10 iceberg più grandi mai registrati. Un altro record che però non tutti gli scienziati imputano al riscaldamento.

Un mondo di plastica

9 miliardi di tonnellate. E’ una quantità difficile da immaginare, ma pare sia più o meno tutta la plastica che abbiamo prodotto dal 1950 al 2015. Uno studio pubblicato quest’anno ha fatto i conti e ha anche rivelato che circa la metà di tutta questa plastica è stata prodotta negli ultimi 13 anni.

Purtroppo quasi 7 miliardi di tonnellate di plastica sono state buttate via come spazzatura e solo il 9% è stato riciclato, il 12% incenerito mentre un tragico 79% è finito in discarica e da qui spesso percolato in mare. Secondo i calcoli dei ricercatori, dai 5 ai 14 milioni di tonnellate di plastica sono finite negli oceani nel 2010.

Se il trend non cambia, avvertono gli autori della ricerca su Science, entro il 2050 avremo mandato in discarica 13,2 miliardi di tonnellate di rifiuti plastici. Attualmente il mondo produce 440 milioni di tonnellate di plastica all’anno e nei mari finisce tra l’1 e il 2 per cento del totale.

Sesta estinzione di massa in corso

Le prime cinque sono tutte avvenute nella preistoria a causa di meteoriti o mega-eruzioni vulcaniche. La sesta sta avvenendo ora sotto i nostri occhi, e quel che è peggio, per mano nostra. Su Proceedings of the National Academy of Sciences un team di scienziati ha fatto il punto della situazione. Tutti i 177 mammiferi considerati tra il 1900 e il 2015 hanno perso il 30% o più dei loro aerali, cioè le aree geografiche da loro abitate. Più del 40% delle specie ha registrato un declino di aerali di oltre l’80%.

La conseguente perdita di biodiversità, a livelli mai osservati prima, ha un impatto diretto sull’uomo. Secondo gli autori siamo di fronte al declino dei sistemi naturali stessi che hanno reso possibile la nostra civiltà.

CO2: concentrazioni record, emissioni in crescita

Il picco. Quello delle emissioni va raggiunto il prima possibile per poi poter cominciare finalmente a scendere. Pensavamo di averlo finalmente raggiunto perché erano tre anni che le emissioni erano stazionarie, ma il 2017 ci ha riservato una brutta sorpresa perché proprio quest’anno sono invece salite di nuovo. Addio picco quindi.

Nel frattempo anche la quantità di CO2 che rimane intrappolata in atmosfera è aumentata raggiungendo, manco a dirlo, un nuovo record. Le concentrazioni di CO2 sono aumentate del 45% rispetto ai livelli preindustriali e nell’ultimo anno hanno raggiunto stabilmente quota 403,3 parti per milione (ma il valore massimo, registrato a maggio, è stato di 410 ppm). Si stima che la CO2 sia rimasta sotto le 280 ppm per 800.000 anni prima della rivoluzione industriale. Poi a partire dal 1750 è aumentata di 123 ppm. Facendo salire la febbre del pianeta.

Buco nell’ozono mai così piccolo

Una delle poche buone notizie di quest’anno riguarda il buco nello strato di ozono, quello che preoccupava tutti negli anni ’80, ve lo ricordate? Ebbene nel mese di settembre le sue dimensioni massime hanno raggiunto il minimo storico dal 1988.

Con buone probabilità questo record in particolare è dovuto all’aumento delle temperature in Antartide, ma in generale il problema è stato affrontato nel modo giusto dal Protocollo di Montréal, un trattato internazionale con cui nel 1987 i paesi aderenti hanno bandito la produzione di una serie di sostanze chimicheche lo causavano. Un modello di successo che non sembriamo in grado di applicare al problema del cambiamento climatico.

Con Trump c’è un brutto clima

E’ stato eletto presidente a novembre del 2016. A marzo del 2017 aveva già fatto carta straccia del Clean Power Plan voluto dal suo predecessore Barack Obama, che poneva precisi limiti alle emissioni di CO2 e di altri inquinanti dalle centrali elettriche. Lo scopo? Contribuire al rinascimento del carbone, il combustibile fossile il cui uso contribuisce in assoluto di più all’effetto serra.

A maggio il presidente ha cominciato a liberarsi di alcuni membri chiave del comitato scientifico dell’EPA, l’agenzia governativa per la protezione dell’ambiente, a capo della quale aveva precedentemente piazzato il clima-scettico Scott Pruitt. Proprio il suo portavoce fa sapere con l’occasione che i membri del comitato il cui contratto non è stato rinnovato potrebbero essere sostituiti da rappresentanti delle industrie che causano l’inquinamento sul quale l’agenzia dovrebbe vigilare. E così è stato.

Il colpo più grosso alla lotta contro i cambiamenti climatici, però, è stato quello inferto dal presidente il primo giugno, con l’annuncio dell’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi. Trump si è dichiarato pronto a rientrare o a sottoscrivere un nuovo accordo se le condizioni dovessero essere “più giuste per gli Stati Uniti, le sue imprese, i suoi lavoratori, i suoi cittadini, i suoi contribuenti”.

Subito si pensa a una coalizione di Stati, regioni e grandi metropoli americane intenzionate invece a continuare a impegnarsi per tagliare le emissioni e contribuire al raggiungimento dell’obiettivo globale di contenimento delle temperature. Alcuni studiosi sostengono che potrebbe anche bastare, dal momento che nel mondo, tanto per fare un esempio, le città sono responsabili di circa il 70 per cento delle emissioni. E gli altri paesi aumenteranno i propri sforzi per sopperire al venir meno dell’impegno ufficiale del secondo inquinatore mondiale?

(Pubblicato il 12/12/2017)