Ambiente: nuove opportunità per tecnici, consulenti e periti

Tecnici dopo FukushimaRipubblichiamo l’elaborato dal titolo “Ambiente: nuove opportunità per tecnici, consulenti e periti (parte prima)” di Alberto Pierobon, visto l’interesse che questo importante contributo ha suscitato.

Dal nostro punto di vista, infatti, è molto interessante inchiestare quei lavori, cosiddetti “tecnici”, che spesso determinano valutazioni, risoluzioni e contese di conflitti ambientali, a partire da osservazioni, perizie e tribunali.

Crediamo, infatti, che, come non abbiamo mai sostenuto che il sapere sia uno strumento neutro ed oggettivo, allo stesso tempo le figure del lavoro, che rappresentano questo sapere (giudici, avvocati, periti, consulenti, etc.), non possano esimersi dal ragionare sul valore etico che ha il loro operato all’interno dei conflitti ambientali e delle comunità che questi conflitti li subiscono.

Proprio per questo troviamo fondamentali i contributi di quelli che, come Pierobon, riflettono sullo statuto epistemologico della loro professione e sul valore sociale che il loro ruolo “tecnico” rappresenta.

DI SEGUITO L’ARTICOLO:

AMBIENTE: NUOVE OPPORTUNITÀ PER TECNICI, CONSULENTI E PERITI (prima parte)

Alberto Pierobon

Introduzione

Questo tema non può – a nostro sommesso avviso – affrontarsi con un approccio solamente tecnico- giuridico (cioè secondo la professionalità richiesta dal mondo lavorativo), bensì con una visione più ampia, riflettendo sui rapporti tra il lavoro che viene chiesto ai tecnici-consulenti e tutto quello che è scienza, metodo, vincoli della società e dell’accademia, comunicazione-convenzione, etica e così via.

Ma così si rischia di entrare in labirinti e infide paludi. Allo stesso tempo, le esigenze delle regole impongono risposte che poggiano su argomentazioni tecniche, per essere – per quanto possibile – obiettive e condivisibili, almeno convenzionalmente. Tutto questo conduce, come sappiamo, a formulare domande e percorrere sentieri (operativi, ma sempre impregnati di teorie) che riportano a mappe misteriose.

Infatti, pur assumendo una visione laica, possiamo dire che il mondo che viviamo è pieno di misteri: servono nuove capacità, fuori da quel pensiero uniforme (indirizzato e burocratizzato), saltando quell’incasellamento del mondo – in una serie di schemi e di categorie conoscitive – che annienta la molteplicità e la ricchezza dell’esperienza, impedendo nuove visioni.

Occorre anche essere aperti a nuove esperienze (1), evitando che l’esperto tratti l’ambiente come se fosse una malattia. Infatti, sono riduttivi i passaggi obbligati dalle convenzioni, che ci impongono – come professionisti – certe analisi, azioni e comunicazioni. I positivisti affermavano che si può parlare solo di ciò che si conosce: sul resto si deve tacere (2). Così inciampiamo (ci arrestiamo) nei limiti. Ma si deve rischiare il non-senso se si vuole coraggiosamente dare un senso alla nostra vita. È però vero che fuori dalle comuni etichettature, dalle verità farmaceutiche, si rischia di rimanere soli, fraintesi e incompresi: nel lavoro, così come esistenzialmente. Non possiamo però ritrarci da queste scelte.

Insomma: che significato vogliamo dare al nostro lavoro? Dobbiamo solo limitarci a capire cosa comanda la norma (3)? O che cosa altro possiamo pensare e fare? Andare oltre il piano del dover essere (4)?

Ecco che il professionista sembra risalire dalla sua “azione” (perizia, consulenza, analisi), theory-laden (cioè carica di teoria) (5), al suo essere “persona” (soggetto), chiedendosi se la sua prospettiva lavorativa – trasfusa in formule organizzative e concettuali (6) – abbia un senso (7) e/o se rispetti (o meno) il suo orizzonte etico-valoriale. Addirittura, così procedendo nelle proprie riflessioni, il professionista potrebbe chiedersi se gode (o non) della libertà, cioè… Per continuare la lettura, clicca qui.