Carbone, il lungo addio

carbone[di Marco Magrini per La Stampa, 31 luglio 2018] È lontano il “Giorno Zero” in cui non si brucerà più il combustibile peggiore e più dannoso al mondo. L’Australia vuole costruire nuove centrali, ma in tutto il mondo si tende ad abbandonare “King Coal”. Ma se non si accelera, c’è il rischio che il riscaldamento globale sia devastante

 

Dicono che il film della Storia si ripeta continuamente. Ma non sempre è vero. Nel caso del carbone, ad esempio, sarebbe bene riavvolgere la pellicola e tornare rapidamente al giorno zero.

 

Pensiamoci bene: la scintilla della Rivoluzione Industriale è cominciata con il carbone che alimentava il motore a vapore, grazie al quale veniva estratto ancora più carbone, in una catena di avanzamenti tecnologici che hanno portato fino al petrolio e al gas naturale. È legittimo dire che la conseguente esplosione della ricchezza mondiale (e della popolazione) è interamente basata sui residui fossili della vita animale e vegetale di milioni di anni fa, cucinati dalla geologia terrestre. Peccato che la vita sulla Terra sia basata sul carbonio. Bruciando il carbone, il carbonio si lega all’ossigeno nell’aria e diventa anidride carbonica.

 

LO STOP? SERVE OGGI  

James Hansen, il più risoluto fra i climatologi, sostiene che per togliere il pianeta dalla tenaglia dell’effetto-serra bisogna smettere di usare il carbone oggi stesso. Per ogni megawatt/ora generato, le centrali a carbone emettono oltre 900 chili di CO2, quasi il doppio di quelle a gas. Eppure, nonostante i successivi passi tecnologici ci permettano di usare la sovrabbondante energia che viene dal Sole (e dal vento), i consumi mondiali di elettricità non smettono di crescere. E il tramonto del carbone appare tutt’oggi assai improbabile.

 

AUSTRALIA ALL’ATTACCO  

«Il carbone ha un ruolo importante nel nostro mix energetico e non ho dubbi che ce l’avrà per molto molto tempo a venire, forse per sempre». Questa frase, pronunciata qualche settimana fa da Malcolm Turnbull – il primo ministro australiano, un tempo favorevole alle politiche climatiche – ha fatto crollare le braccia agli ambientalisti di tutto il mondo. Sarà forse perché la Cina, leader nelle rinnovabili, consuma ancora 4,3 miliardi di tonnellate di carbone all’anno per far fronte a un fabbisogno elettrico di 5,400 terawatt/ora. O sarà forse perché il presidente Donald Trump, in un aperto gesto di dissenso nei confronti della scienza, ha cancellato le regole dell’amministrazione Obama per diminuire il peso del carbone americano. Fatto sta che l’Australia (quarta produttrice al mondo) ha appena scelto di stare dal lato sbagliato della Storia. Eppure, qualche segnale che la pellicola della storia del carbone stia cominciando a riavvolgersi c’è.

 

AVANTI, MA TROPPO PIANO  

La Rivoluzione Industriale è nata in Inghilterra ed è lì che, per quasi un secolo, l’industria del carbone ha dato lavoro a 750mila minatori. Ebbene, nei primi sei mesi del 2018, il Regno Unito è stato oltre mille ore senza usare l’energia del carbone: al suo posto gas, energia solare ed eolica. In Cina, dove per tre anni si era registrata una diminuzione, nel 2017 i consumi di carbone sono cresciuti del 3,3%. Ma il governo di Pechino ha appena lanciato un piano triennale che include la chiusura di tutti gli impianti piccoli e fuori dagli standard ambientali. In America, nonostante Trump, nessuno prevede un vero rilancio del carbone perché lo shale gas è meno caro e più efficiente. Tuttavia, l’Agenzia internazionale dell’Energia prevede che la quota del carbone sul mix energetico mondiale calerà: dal 27% del 2015 al 22% del 2040. È un’inezia o, per dirla con James Hansen, una sentenza di condanna per il pianeta.

 

Nel sommario del prossimo rapporto Ipcc che sarà pubblicato a ottobre, rivelato da un’agenzia di stampa, c’è scritto a chiare lettere che mantenere il riscaldamento del pianeta entro gli 1,5 gradi centigradi (l’obiettivo “ideale” dell’Accordo di Parigi sul clima) sarà difficile. E che un aumento della temperatura globale di 2 gradi (l’obiettivo massimo) sarà «sostanzialmente più dannoso». C’è chi calcola che verrà superato: basta moltiplicare le oltre 30 miliardi di tonnellate di CO2 aggiunte ogni anno all’atmosfera per gli anni di durata di vita prevista delle centrali di produzione elettrica esistenti.

 

Turnbull vuole costruire nuove centrali, mostri con una durata (e un ammortamento) di 40- 50 anni. Per fortuna, c’è anche chi sta dal lato giusto della Storia, come Allianz, che ha appena annunciato di non essere più disponibile a sottoscrivere polizze assicurative su nuove centrali a carbone. Se tutte le compagnie facessero altrettanto (o semplicemente, se il mondo industrializzato applicasse una carbon tax) il carbone tornerebbe ben più rapidamente verso il suo Giorno Zero.

 

Il Giorno Zero è il giorno in cui il mondo smetterà di bruciare il peggior combustibile fossile che c’è. Per fortuna dei nostri discendenti, non è vero che non arriverà mai, come dice l’improvvido Turnbull. Però non aspettiamoci nemmeno che sia dietro l’angolo.