Chevron | Watson, criminale d’impresa internazionale

File photo of Greenpeace members protesting in front of the Chevron oil company headquarters in Rio de JaneiroJohn Watson, amministratore delegato della Chevron, criminale d’impresa internazionale

Inoltriamo la notizia della presentazione il 23 ottobre presso la Corte Penale Internazionale di una domanda di apertura di un caso contro l’amministratore de la Chevron Texaco John Watson per il caso di contaminazione petrolifera nella foresta Amazzonica ecuadoriana. Una domanda preparata dall’avvocato Pablo Fajardo, l’avvocato capo del processo contro la Chevron in Ecuador che abbiamo avuto l’onore di ricevere a Roma nel quadro delle attività del progetto EJOLT l’anno scorso, insieme a l’avvocato Argentino Eduardo Bernabé Toledo, collega del procuratore Argentino Gustavo Gomez che è stato con noi numerose volte qui a Roma.

Una domanda importante in quanto prova a portare a livello di giustizia penale internazionale un caso diventato storico ma che ancora non riesce a ricevere giustizia, sfidando i limiti e l’attenzione fino ad oggi data a situazioni di crimine ambientale dal diritto penale internazionale.

* * *
di {Nick Meynen} su [Ejolt]- Pablo Fajardo, avvocato dei 30.000 ecuadoriani vittime dei disastri ambientali causati dalla Texaco in Amazzonia, ha presentato il 23 ottobre scorso una denuncia presso la Corte Penale Internazionale (TPI-ICC International Criminal Court) dell’Aja. Questa la nuova linea, in quello che viene probabilmente considerato il conflitto legale più complesso di tutti i tempi, l’accusa di crimini contro l’umanità contro due dirigenti della Chevron: John Watson (amministratore delegato) e Hewitt Pate (vicepresidente). Chevron ha acquistato la Texaco nel 2000 e fino ad ora è riuscita ad evitare l’attuazione della sentenza definitiva che la obbliga a pagare 9,5 miliardi di dollari alle vittime.

Denunciando i due maggiori rappresentanti della Chevron alla Corte Penale Internazionale gli avvocati compiono un grande passo: fanno in modo che la responsabilità ricada su persone fisiche. Chi conosce la storia di questa battaglia legale sa bene il perché di questa scelta. Il caso è stato sollevato nel 1993 e dopo numerose battaglie legali, la decisione finale è stata presa dalla Corte Suprema in Ecuador – il Paese dove Chevron voleva essere giudicata. La multinazionale petrolifera ha combattuto una lunga battaglia legale a New York chiedendo che il giudizio venisse emesso dal tribunale ecuadoriano. Alla fine ha ottenuto la possibilità di trasferire il caso in Ecuador, dopo la promessa di rispettare la decisione del tribunale. Era questa la condizione per poter spostare il caso dalla corte federale degli Stati Uniti alla nazione del Sud America. Ad ogni modo, nonostante la sentenza finale della Corte Suprema in Ecuador, Chevron non ha ancora pagato i 9,5 miliardi di dollari per il risarcimento dei danni. Lo sversamento di rifiuti tossici nelle acque ecuadoriane ha causato la morte per cancro di milioni di persone. Le migliaia di sopravvissuti si sono rivolte alle Corti di Giustizia dei paesi esteri in cui Chevron detiene asset. Il caso è stato portato nelle aule dei tribunali di Brasile, Argentina e Canada, dove è tuttora aperto. Tuttavia, l’esercito di 2000 professionisti legali – sì, 2000 – arruolati da Chevron è finora riuscito a evitare qualsiasi applicazione del provvedimento giudiziario. Da tempo, la compagnia petrolifera statunitense cerca di portare la battaglia fuori dalla corte e diritta nelle vite delle persone che difendono le vittime. Chevron ricorre a spie per seguire i legali degli ecuadoriani e delle loro famiglie. Paga hackers per sabotare i siti web dove vengono condivise le informazioni sul caso. Apre casi di racket contro gli avvocati stessi e coloro che li finanziano. Sul versante opposto due avvocati ecuadoriani, col supporto di alcuni avvocati di altri Paesi, da anni lavorano al caso sotto enormi pressioni. Ma il loro attuale obiettivo è prendersi la rivincita. John Watson e Hawitt Pate devono affrontare una denuncia per crimini contro l’umanità presentata alla Corte Penale Internazionale. L’amministratore delegato e gli altri dirigenti di alto livello della Chevron hanno promesso alle comunità colpite un “processo lungo una vita”, dichiarando di continuare a battersi “finché l’inferno gelerà, per poi combattere sul ghiaccio”.

Julio Prieto, avvocato collaboratore e membro dell’equipe legale di Pablo Fajardo, intervistato il giorno prima della denuncia, ha dichiarato: “John Watson ha acquistato Texaco per 20 milioni di dollari, e se ora la Chevron deve pagare 9,5 miliardi di dollari a causa dei disastri ambientali della Texaco, il suo è stato davvero un pessimo affare. Sono piuttosto sicuro che Watson perderà il lavoro se le vittime verranno risarcite. È evidente il suo interesse nell’assicurarsi che la giustizia non abbia la meglio”. Alla domanda sul perché del suo enorme impegno per il caso, la risposta è stata: “C’è una cosa che tutti devono capire; il processo può anche terminare, ma la sofferenza no. Non saremo in grado di ripulire la foresta nemmeno con i 9,5 miliardi riconosciuti dalla sentenza”. Quando gli abbiamo chiesto se la faccenda agitasse ancora gli animi delle vittime – persino dopo 21 anni di battaglia legale – Julio ha commentato così: “Guardi, le migliaia di persone che si battono per il caso sanno che la questione è lunga – vivono nella Cernobyl dell’Amazzonia. E’ lì che bevono e mangiano. Non smetteranno di piangere, né di morire”.

Traduzione a cura di {Gilda Nassa}

-* L’intera intervista in inglese a Julio Prieto è disponibile qui.
-* Ulteriori informazioni nell’ atlas of invironmental justicee in questo rapporto.
-* Maggiori notizie sulla presentazione della denuncia qui.
-* Maggiori informazioni su come Chevron ha manipolato la vicenda sono disponibili qui.