Coltan, chi lo nomina e chi no

coltan5[di Daniele Barbieri su Comune-info.net] Un’amica mi consiglia di leggere «Kivu, il paese delle ceneri» di Michele Farina (con le foto di Colin Delfosse) sull’ultimo «Io donna», supplemento – ops “magazine” – del «Corriere della sera».

È bene chiarire subito per chi non sa di Africa – o di Afriche, come preferiamo qui in “bottega” – che il Kivu è una parte del Congo, cioè della Repubblica Democratica del Congo (Congo–Kinshasa, già Congo Belga, Congo-Léopoldville, Zaire). Lo conosco un po’ per letture, amicizie e per esserci stato due volte con «Beati i costruttori di pace».

Acconsento a leggere l’articolo ponendo una condizione, che prima la mia amica conti con me quante pubblicità ci sono su questo numero di «Io donna»: su 214 pagine, copertina compresa, 101 sono pubblicità esplicita, poi ne troviamo altre 25 più o meno mascherate e magari qualcun’altra è così ben camuffata che ci vorrebbe un esame più smaliziato per capire chi è il “persuasore occulto”. A pagina 67, proprio alla fine dell’articolo sul Kivu, un profumo – ops “eau de toilette” – invita a tirare una linguetta e odorare. Mi torna in mente una frase di Nietzsche: «Ancora un secolo di giornali e tutte le parole puzzeranno»: la trovate in «Frammenti postumi» del 1882-1884 e contando, anche con le dita, noterete che i 100 anni sono passati, infatti le parole puzzano assai e non c’è profumo (ops: eau de toilette) che le renda meno schifose.

Questo il quadro in cui si collocano «Io donna» e i suoi cuginetti. Avendo chiarito con la mia amica il contesto – pesa eccome, sono quelle pubblicità che decidono cosa i giornalisti possono scrivere – vado a leggere l’articolo di Michele Farina. Ben scritto, nulla da dire. Racconta di persone ma collocandole in un quadro più generale come il buon giornalismo dovrebbe sempre fare. Ma per chi – come me – sa qualcosa di Congo (e di giornalismo) mancano cinque righe che in Kivu addirittura ruotano intorno a una sola parola che nell’articolo manca . Questa parola è coltan. Se non sapete cos’è per favore aspettate a correre su Wikipedia (o a cercare qui in “bottega”) perché sotto sarà ben spiegato.

Non si può parlare di Kivu senza nominare il coltan? Forse sì ma il problema è che il sommario dell’articolo parla di «l’onda lunga del genocidio ruandese» e nell’articolo subito si accenna al «crollo persistente delle materie prime sui mercati mondiali» (quali? Che c’entrano con il Kivu? Qui non è dato saperlo) per poi citare «le eterne crisi umanitarie» (ovvero?) e dopo Goma citare un’altra città, Bukavu «luogo comune per atrocità e nefandezze» (degli umani in genere?). Poi si citano «le donne vittime di violenze di massa» (come in Italia o c’è qualcosa di un po’ diverso?) e si ricorda il film-documentario «L’homme qui répare les femmes» – speriamo arrivi in Italia – di Thierry Michel che «il governo ha bloccato perché offende l’esercito congolese». Nel capoverso finale si ricorda di nuovo «l’onda lunga del genocidio» (di chi contro chi? quando iniziò? perché?) e poi questa frase in chiusura: «La voglia di qualcosa di buono. In un posto dove i segni della violenza, come la presenza di uomini in armi, sono fusi nel paesaggio, sono diventati pezzi scontati di paesaggio. E il forse è per sempre».

Guarda il Teaser di  “L’homme qui répare les femmes – La colère d’Hippocrate” di Thierry Michel & Colette Braeckman

Viva allora la «vitalità normale e straordinaria» della gente di Goma e bravo Michele Farina a raccontare la voglia di vivere, nonostante tutto, di «contadini, musici, pastori evangelici, pasticceri, soldati scalcagnati». Ma perché gli uomini in armi e la violenza «fusi nel paesaggio»? Da dove viene il genocidio? Le crisi umanitarie hanno una spiegazione? Cosa c’entrano i minerali? Bastavano cinque righe (in tre pagine, seppur piene di foto) per ricordarlo o per farlo sapere a chi magari pensa che il Congo è un Paese povero…

Chi vuole sapere perché nel Kivu i morti sono stati centinaia di migliaia ha, per sua fortuna, altre fonti (non tantissime in Italia) oltre a «Il corriere della sera» che da sempre sul quotidiano come sui supplementi – ops: magazine – sembra più interessato ai gorilla che agli esseri umani, al folclore che all’economia. Intanto se qualcuna/o curioso di sapere del Kivu e del Congo nei prossimi giorni si trova aTrento faccia un salto in vicolo san Marco 1 e/o in via Garibaldi 33.

E su Trento lascio la parola all’Accri.

 

 

Per approfondire:

Sono in molti a non conoscere la cosiddetta sabbia nera, il coltan, anche se questo minerale è uno dei componenti fondamentali di videocamere, consolle di videogiochi e dei cellulari che continuano a moltiplicarsi e ad essere oggetto di tanta (smodata) attenzione. Si tratta di una combinazione – da qui il nome – tra colombite e tantalite che serve a ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di nuovissima generazione.

La carenza di informazione sul coltan diventa però inaccettabile nel momento in cui ci viene svelata l’altra faccia della tecnologia, ossia, in altre parole, quello che sta dietro al nostro telefonino e siamo informati degli orrori che si accompagnano spesso allo sfruttamento delle sue miniere.

L’80% del coltan in circolazione proviene dalla Repubblica Democratica del Congo, soprattutto dalla zona orientale del Paese, il Kivu, che da vent’anni è al centro di una guerra che ha causato più di 8 milioni di vittime. Si tratta di una guerra voluta ed alimentata per permettere i traffici illegali di questi minerali (coltan, stagno, oro…) estratti da minatori – spesso bambini – in condizioni sub-umane, poi utilizzati nella telefonia, nell’elettronica e nell’informatica.

«Senza le guerre, infatti, non si potrebbe comprare il coltan a 20 centesimi in Congo e rivenderlo a 600 dollari al chilo in Europa» spiegava in occasione di un incontro con l’ACCRI l’ingegnere informatico congolese e italiano d’adozione John Mpaliza. Soprannominato peace walking man, dal 2009, di ritorno da un viaggio sconvolgente nel suo Paese, gira per l’Italia e l’Europa per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tragedie spesso nascoste dietro alla tecnologia.

Il Progetto «L’altra faccia della tecnologia: il dramma del coltan», che si inserisce nel contesto sopra delineato, avrà proprio l’obiettivo di rendere consapevole l’opinione pubblica, privilegiando i giovani (che sono i principali consumatori di tecnologia), sulla tragica realtà collegata all’estrazione illegale dei minerali destinati alla tecnologia, stimolando il passaggio dalla consapevolezza alle scelte responsabili personali e collettive.

Per la realizzazione di questo progetto l’Accri potrà contare sulla presenza in trentino dello stesso John Mpaliza, in ottobre in Italia per la «Congo week», sui docenti individuati negli istituti superiori di Trento e di Borgo, con i quali l’equipe EaS ha già collaborato, che accompagneranno gli studenti nel corso dell’iniziativa quali referenti della stessa per la propria realtà scolastica. Inoltre su alcuni membri di Associazioni che si riconoscono nel Coordinamento vallagarino per l’Africa, con cui si sono già stabiliti i contatti per patrimonializzare l’esperienza realizzata a Rovereto e per proseguire in collaborazione il percorso da loro avviato sul territorio trentino.

Coltan insanguinato

Tracciabilità dei minerali

Sitografia

www.mineraliclandestini.it

www.fairphone.com

Pubblicato da Daniele Barbieri  il 18 ottobre 2015 su Comune-info.net