Escherichia Coli e tumori, Valle Crati ‘depura’ vicino a un inceneritore abbandonato e i suoi rifiuti tossici

IMG-20161003-WA0007 [di Maria Teresa Improta su QuiCosenzaL’area doveva essere bonificata e trasformata in parco Urbano. Si pensa invece di ampliare l’impianto nonostante le acque immesse nel Crati risultino contaminate da escherichia coli e i residenti lamentino l’aumento di patologie oncologiche.

Il fantasma dell’inceneritore abbandonato alle porte di Rende. Un impianto chiuso per inquinamento con le ciminiere pericolanti e i suoi scarti, lasciati a marcire dal 1999 in località Coda di Volpe, preoccupano i rendesi. I residenti attribuiscono l’aumento delle patologie oncologiche nel quartiere a questo ecomostro mai del tutto smantellato. A pochi metri dai residui di ecoballe putrefatte coperte da un velo di terriccio e dalle ceneri tossiche del termovalorizzatore abbandonate, il Consorzio Valle Crati depura i reflui fognari di 35 Comuni della provincia di Cosenza. Le ‘acque nere’ prodotte da oltre 220mila abitanti vengono poi riversate nel fiume Crati. Dal bocchettone del depuratore arrivano alla diga di Tarsia, poi, una parte viene convogliata nei canali del Consorzio di Bonifica e usata per l’irrigazione dei campi nella sibaritide, il resto va in mare sul Tirreno cosentino. L’Arpacal dopo aver effettuato dei prelievi nel mese di Aprile ha segnalato al Comune di Rende e ai gestori dell’impianto lo sforamento dei limiti di presenza di escherichia coli e azoto ammoniacale “indice di inquinamento organico”.

Nella relazione si legge come “nell’area prossima all’immissione del refluo fognario proveniente dall’impianto del Consorzio Valle Crati (gestito dalla Geko Spa ndr) risultano evidenti cospicui agglomerati di schiuma flottanti in superficie e lungo le sponde nonché l’odore maleodorante tipico di un refluo fognario“. Un problema che dopo il sequestro dell’intero depuratore avvenuto nel 2013 doveva essere superato nell’immediatezza. Così non è stato. L’unica preoccupazione del Consorzio guidato, fino alla sua interdizione dai pubblici uffici, da Maximiliano Granata in questi anni pare sia stata il recupero dei fondi per raddoppiare l’impianto. Trentacinque milioni di euro di fondi Cipe ancora non stanziati che permetterebbero di ampliare il numero di vasche di depurazione e rimpinguare le casse del Consorzio Valle Crati. L’iter per l’avvio del progetto, per ora, è fermo. Duole però constatare che ai tavoli istituzionali tenutisi in Prefettura i referenti del Consorzio abbiano ‘dimenticato’ di segnalare la presenza di un sito altamente contaminato a pochi metri dal depuratore. Si tratta dell’inceneritore di Coda di Volpe, struttura chiusa per sforamento dei limiti di inquinamento e per la certificata contaminazione di suolo, aria e acque.

LA STORIA DEL DEPURATORE DI CODA DI VOLPE

Il progetto originario di Cecchino Principe negli anni Settanta era quello di creare un impianto di depurazione che avrebbe trattato le acque nere che sarebbero servite poi ad irrigare tutti i terreni circostanti. A ciò si sarebbe aggiunto un impianto di compostaggio in modo da creare una ‘cittadella’ per il trattamento dei rifiuti solidi e liquidi urbani. L’area individuata ed in cui ancora oggi convivono depuratore, inceneritore e rifiuti tossici abbandonati, misura 166 ettari, una superficie pari a 40 campi di calcio. “Mentre scavavano – ricorda un anziano ingegnere che ha seguito la vicenda dei due impianti dall’origine – per creare le vasche sono arrivati alle falde acquifere. Dagli anni Ottanta fino al 2015 le acque nere, ovvero i reflui fognari di 35 Comuni cosentini e acque potabili convivevano mischiandosi.Quando scavavano mettevano cemento e toglievano acqua. Hanno così costruito quattro vasche non impermeabilizzate e non sono mai state utilizzate per irrigare i terreni di Rende, Montalto e Rose come inizialmente era stato promesso”. Un vero e proprio spreco perché il tutto veniva gettato nel Crati, l’acqua ‘depurata’ non fu mai utilizzata (neanche per generare corrente elettrica). In più se i sospetti che l’acqua fosse contaminata dovessero rivelarsi fondati, il depuratore del ‘Principato’ ha inquinato per decenni il fiume, i terreni, l’aria, le colture e il mare dei cosentini.

LA STORIA DELL’INCENERITORE DI CODA DI VOLPE

I due impianti vengono costruiti contemporaneamente, ma il depuratore entra in funzione alla fine degli anni Settanta mentre l’inceneritore partirà decenni dopo. Leggende metropolitane raccontano che sia stato smontato a Livorno e montato a Coda di Volpe. Ultimato di fretta e furia dopo una protesta durata settimane, con la quale i cittadini di Sant’Ippolito ottennero la chiusura della discarica a ridosso della città di Cosenza, fu aperto per iniziare a smaltire i rifiuti dell’intera area urbana. A cavallo di quegli anni alla presidenza di Valle Crati (ex Consorzio Magdalone) appare Giacomo Mancini. Pare sia stato proprio lui ad optare per la realizzazione di un inceneritore al posto di un impianto di compostaggio, progetto approvato quando Cecchino Principe viene eletto governatore della Regione Calabria. Al taglio del nastro nell’estate del 1995, l’aria di località Coda di Volpe diventa irrespirabile. La raccolta differenziata ancora è un’utopia. Rifiuti di ogni genere vengono ammassati e compattati in ecoballe poggiate in attesa di essere bruciate nel forno a meno di cento metri dal fiume Crati e a 14 metri dal torrente Settimo. Il tutto a fianco al depuratore.

Alla prima ispezione, per verificare le eventuali criticità ambientali del nuovo termovalorizzatore rendese, i tecnici sono scandalizzati. Una commissione composta dal Corpo Forestale, l’ASL, la Regione Calabria e l’Unical ne chiede l’immediata chiusura per tutelare l’incolumità dei cittadini. La temperatura post combustione dopo l’incenerimento dei rifiuti è troppo bassa per impedire che si sprigionino massicce quantità di diossina e furani nell’aria e si depositino sui terreni circostanti. Inoltre le cataste dei rifiuti con le piogge creano un percolato tossico che si infiltra nel suolo costituendo un potenziale rischio per le falde acquifere già ‘stuprate’ per anni dalla maladepurazione. I valori rilevati dall’analisi dei terreni e dei vegetali coltivati in prossimità del termovalorizzatore di Coda di Volpe sono così alti che, per avere conferma del disastro ambientale, i tecnici increduli li inviano all’Università di Siena che ne certifica la validità. Nelle acque tra metalli pesanti e batteri fecali, si rileva la presenza massiccia di salmonella. Se ne dispone la chiusura, dopo meno di tre anni di attività e l’immediata bonifica. Quest’ultima mai avvenuta. L’inceneritore dismesso viene quindi affidato al Consorzio Valle Crati.

LA BONIFICA E IL PARCO URBANO INESISTENTE

La fossa in cui venivano ammassate le ecoballe viene sommariamente ripulita e ricoperta di terriccio. La parte più pericolosa, quella in cui venivano depositate le ceneri del termovalorizzatore,  ovvero gli scarti dei rifiuti inceneriti, invece viene lasciata lì così com’è coperta da un semplice telo. Alla Comunità Europea che chiede di bonificare il sito viene comunicato che l’inquinamento di acqua, aria e suolo riscontrato non proviene dalla discarica di ceneri tossiche. Quindi la Regione Calabria garantisce a Bruxelles che su Coda di Volpe è ‘tutto a posto’. Peccato che i residenti non siano d’accordo e terrorizzati assistono, inermi, ad un boom di tumori che ancora oggi si registra nell’area di Sant’Antonello a pochi metri dai due impianti.

Il sito risulta inserito dal 1999 fra le priorità individuate dal Ministero dell’Ambiente che necessitano di interventi di bonifica e ripristino ambientale. L’area dovrà essere destinata a Parco Urbano come previsto anche dalla variante al piano regolatore generale approvata dal Comune di Rende nel 2003. Gli amministratori d’Oltrecampagnano però con gli anni hanno dimenticato il progetto e ‘accecati’ dall’utopia del Parco Acquatico continuano ad ignorare l’emergenza ambientale di località Coda di Volpe. Domani in consiglio comunale a Rende verrà finalmente presentata la perimetrazione dell’area (insieme a quella dell’ex Legnochimica) per valutare eventuali interventi. Intanto il consigliere d’opposizione Massimiliano De Rose ha presentato un’interrogazione al sindaco Marcello Manna per chiedere perché se l’autorizzazione allo scarico del depuratore è scaduta a gennaio 2016, l’impianto continua a lavorare a pieno ritmo.

(Pubblicato il 24/05/2017)