Gli “elefanti” nelle stanze delle negoziazioni climatiche

1[di Tosca Ballerini per CDCA] È possibile non vedere un elefante in una stanza? La logica ci dice di no. Su questa semplice evidenza si basa l’espressione inglese “l’elefante nella stanza”, usata come metafora per le situazioni in qui qualcosa di ovvio non viene considerato oppure per tutti i casi in cui c’è un pericolo o un rischio evidente, ma nessuno ne vuole parlare.

Nel caso delle negoziazioni ONU sul clima, di elefanti nella stanza non ce n’è uno solo, ma tanti, come denuncia l’ONG statunitense Corporate Accountability International. I pachidermi che intralciano i lavori degli Stati per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e contenere il cambiamento climatico sono associazioni d’industrie fossili e gruppi di alto livello per il commercio che siedono come osservatori accreditati durante le riunioni dell’UNFCCC. Grazie all’accredito le lobby dell’industria fossile hanno un accesso illimitato alla maggior parte delle discussioni dell’UNFCCC, possono esprimere, sotto richiesta, il loro parere e hanno la possibilità di aggirarsi tra i corridoi e intrattenere discussioni private coi rappresentanti dei vari paesi. Paesi che spesso hanno un prodotto interno lordo inferiore al fatturato annuo di queste grandi corporazioni.

Nella lista degli osservatori accreditati  a partecipare alle negoziazioni della COP22 attualmente in corso a Marrakech figura, ad esempio, la World Coal Association, che rappresenta gli interessi di alcune delle compagnie fossili più grandi al mondo. Tra i suoi iscritti c’è Peabody Energy, la più grande compagnia di carbone degli USA che nel passato ha finanziato almeno una dozzina di gruppi negazionisti. Altri osservatori accreditati alla COP22 sono Business Council of Australia e BusinessEurope, la cui lista di aderenti include alcune tra le più grandi corporazioni di petrolio e gas, tra cui Exxon Mobil, BP, Royal Dutch Shell.  Come riportato da Alternet, negli anni BusinessEurope ha consistentemente cercato di indebolire le politiche energetiche dell’Unione Europea, incluso l’Emission Trading System e gli obiettivi di raggiungimento di quote di energia rinnovabile.

 

I Paesi in via di sviluppo chiedono regole per la gestione del conflitto d’interesse

Secondo Corporate Accountability International, compagnie come Exxon Mobil e Shell, non hanno altro interesse nei negoziati sul clima se non quello di tentare di rallentare l’avanzamento dei lavori e non sarà possibile mettere in pratica veramente l’Accordo di Parigi se prima non s’impedisce alla grande industria fossile di sedersi al tavolo dei negoziati.

Sono dello stesso parere diversi paesi in via di sviluppo che considerati globalmente rappresentano quasi il 70% della popolazione mondiale. Durante la Conferenza di Bonn sul Clima del maggio 2016, i paesi in via di sviluppo, sotto la guida dell’Ecuador, hanno proposto all’UNFCCC di prendere in considerazione le regole sul conflitto d’interesse messe in atto in altri accordi ONU al fine di includerle nel “manuale” d’implementazione dell’Accordo di Parigi. A questa proposta si sono però opposti USA, Gran Bretagna, Unione Europea e Australia, con la giustificazione che il processo dovrebbe essere “aperto” e “inclusivo” e che non esiste una definizione chiara di “conflitto d’interesse”.

Secondo Ecuador, Venezuela e gli altri paesi in via di sviluppo, l’UNFCCC potrebbe ispirarsi al sistema adottato dall’ONU nel caso della Convenzione quadro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul controllo del Tabacco (Framework Convention on Tobacco Control, FCTC) che riconosce la presenza di conflitti d’interesse tra l’industria del tabacco e la salute pubblica.  La FTCT, entrata in vigore nel 2005, è stata implementata rapidamente nel mondo grazie al suo approccio al conflitto d’interesse e al riconoscimento delle pressioni da parte dell’industria.

 

La società civile in supporto ai paesi in via di sviluppo

In supporto alle richieste, non ascoltate, in ambito delle negoziazioni UNFCCC da parte di Ecuador, Venezuela e altri paesi in via di sviluppo, un gruppo di 15 associazioni della società civile guidate da Corporate Accountability International ha raccolto oltre 645 000 firme per chiedere alla delegazione USA in Marocco per la COP22 di escludere le lobby dell’industria fossile dalle negoziazioni. La petizione è stata consegnata lunedì 14 novembre dopo la fine di un side event organizzato dalla delegazione dell’Ecuador dove le delegazioni ufficiali delle Parti dell’Accordo di Parigi e varie NGO si sono riunite per discutere dell’importanza di includere delle regole per gestire il conflitto d’interessi e provare a tracciarne una bozza.

Come riportato dal giornale inglese The Guardian, non essendo osservatori accreditati gli attivisti di Corporate Accountability International hanno dovuto “intrufolarsi” negli uffici della delegazione USA e letteralmente “cacciare in mano” ai negoziatori la petizione, nella quale si legge: “affinché l’UNFCCC possa mettere in atto delle politiche forti per proteggere le persone e il pianeta dalla catastrofe climatica, dobbiamo far uscire i grandi inquinatori dal tavolo delle trattative”.

Sempre come riportato da The Guardian, la delegazione USA in un primo momento ha sostenuto di non poter ricevere la petizione, ma in seguito ha accordato agli attivisti un appuntamento formale per mercoledì 16 novembre per discutere del conflitto d’interessi. Che sia la volta buona che gli elefanti siano cacciati fuori dalle stanze dell’UNFCCC?