I nuovi profughi, in fuga dal clima impazzito

profughi ambientali[di Francesca Paci su lastampa.it] L’allarme lanciato a Roma dall’icona del movimento ecologista Jeffrey Sachs: «Già oggi ci sono milioni di rifugiati climatici, e anche la crisi siriana è stata aggravata dalle alterazioni meteo».

 

“Sull’ambiente siamo in corsa contro il tempo e non siamo affatto in condizione di vantaggio”. L’allarme di Jeffrey Sachs, anima dell’Earth Institute della Columbia University e popolare paladino ecologista sin dai tempi dei primi movimenti no global di Seattle 1999 (quando Julia “butterfly” Hill diventava l’icona verde per antonomasia vivendo 738 giorni sopra una sequoia millenaria per impedirne l’abbattimento), arriva dal meeting internazionale “Giustizia ambientale e cambiamenti climatici”, la grande tavola rotonda organizzata a Roma dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in vista dell’appuntamento Parigi 2015.

 

I numeri degli esperti sono da brivido. Non c’è solo il surriscaldamento del pianeta che prevede le temperature medie in aumento di 4° C ma ci sono gli studi sulle migrazioni che per i prossimi anni parlano di un potenziale esodo di 250 milioni di profughi climatici”, ossia persone non in fuga da una guerra o da persecuzioni etnico-religiose ma da fenomeni meteorologici estremi, una carestia, un’alluvione, una prolungata siccità.

 

Da vent’anni Jeffrey Sachs non si stanca di suonare la sirena. I nodi vengono al pettine, dice a La Stampa. In qualsiasi forma si manifestino: “Nessuno può fare previsioni precise, ma possiamo dire che già oggi ci sono milioni di rifugiati climatici e che per esempio una crisi come quella siriana, che non ha cause strettamente climatiche, ha però subito la pressione delle alterazioni meteo. Quando sono esplose le proteste contro Assad nel 2011 il paese usciva da una delle peggiori siccità della sua storia, una crisi ambientale che aveva esasperato gli animi e che ha certamente inasprito azioni e razioni. Il fenomeno è in crescita esponenziale, sempre più spesso sono piogge scarse o abbondanti a muovere i popoli, fisicamente o psicologicamente. E’ una deriva che va arginata, l’urgenza siriana è fermare la violenza ma subito dopo dobbiamo occuparci dell’ambiente. A Parigi bisogna essere seri nel cercare un accordo perché finora la politica è stata inadeguata”.

 

Senza uno stop, denuncia l’Agenzia Internazionale per l’Ambiente, le emissioni mondiali di Co2 da processi energetici continueranno a crescere dell’8% fino al 2030 (dai 32,2 miliardi di tonnellate del 2013 crescerebbero a 34,8 miliardi, anziché diminuire a 25,6 miliardi come previsto dalla traiettoria necessaria per limitare l’aumento della temperatura media globale non oltre 2°C). La Cina in particolare emetterebbe 3,7 miliardi di tonnellate in più di quelle previste, gli Stati Uniti un miliardo in più. Per come siamo messi (male), dicono gli esperti, anziché lievitare le emissioni mondali di gas serra nel 2050 dovrebbero essere tagliate del 40-70% rispetto a quelle del 2010.

 

Molte cose sono cambiate, e non in meglio, da quando negli anni ’90 l’ambiente sembrava il tema dei temi. Jeffrey Sachs ammette che continuando così la scarsità delle risorse idriche si aggraverebbe in molte regioni con conseguenze prevedibili: “Nel 1992 circolavano grandi speranze, c’era stato il summit sulla terra, un contesto promettente. Poi gli Stati Uniti hanno fallito più volte, una prima nel ratificare la convenzione sulla diversità con l’idea che la proprietà privata fosse più importante della diversità della specie e un’altra nel 95 quando il senato ha rifiutato Kyoto segnando la debacle. Allora la Cina ha cominciato a temporeggiare e inquinare sempre di più dicendo che non toccava a loro iniziare se gli Usa titubavano e viceversa. E’ andata sempre peggio. Ora finalmente Cina e Usa hanno deciso di sedersi insieme a Parigi, Obama ha il sostegno degli americani che oggi per il 65%-70% pensano si debba agire. Anche Pechino ha paura, negli ultimi anni tutti i paesi hanno sperimentato sulla loro pelle il climate change”.

 

L’alternativa è nera. L’aumento delle crisi meteo estremi avrà implicazioni negative sugli sforzi per ridurre la povertà, con un aumento della sottoalimentazione e della malnutrizione in molte regioni. Le Nazioni Unite sono chiare: oltre 250milioni di persone rischiano di essere sfollate a causa dei cambiamenti climatici e già oggi più di 200 milioni di persone sono colpite dai disastri legati al clima (con impatto devastante per chi vive con meno di 2 dollari al giorno). Il tempo stringe. Pur realizzando gli impegni a oggi dichiarati nel 2030 molti Paesi (come Cina, Usa e Russia) avranno ancora emissioni energetiche di CO2 pro-capite troppo elevate e altri (Sud-Est Asiatico, America Latina e Africa) pur non avendo alcuna responsabilità per le emissioni saranno maggiormente colpiti. Jeffrey Sachs, oggi, pensa positivo: quantomeno abbiamo il dovere di provarci.

 

Pubblicato l’11 settembre 2015 su lastampa.it