I predatori della green economy

fort_dolphin3 - Copia[di Giulia Franchi su NigriziaSi chiama “compensazione della biodiversità”. È l’ultima trovata delle multinazionali minerarie e agricole per devastare gli ecosistemi e passare per difensori della natura. Il caso dell’azienda anglo-canadese Rio Tinto/QMM in Madagascar.

«È un’assurdità, oltre che un’ingiustizia, che ci tolgano la foresta dichiarando di doverla proteggere, per poter continuare a devastarla con le loro miniere». Così ci accoglie l’assemblea del villaggio di Antsonso, piccola comunità all’estremo sud del Madagascar.

È il settembre del 2016. Per la terza volta in pochi anni abbiamo deciso di tornare nella grande isola e raccontare, questa volta in video, la truffa del biodiversity offsetting, quell’illustre sconosciuto che sta facendo la fortuna di tante imprese minerarie, ma non solo, e la miseria di tante piccole comunità in giro per il mondo.

Di che cosa si tratta? Da alcuni anni alcuni soggetti hanno cominciato a utilizzare in maniera sempre più frequente una strategia nota come “compensazione della biodiversità”. Questi soggetti si sono imprese multinazionali dei settori minerario, dell’agricoltura industriale e della costruzione di grandi infrastrutture; istituzioni finanziarie internazionali come la Banca mondiale e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo; alcune grandi organizzazioni internazionali per la protezione della natura; un numero crescente di governi nazionali.

Secondo tali soggetti, il meccanismo della compensazione della biodiversità aiuterebbe a proteggere la diversità biologica – per intenderci: le foreste, ma anche gli insetti, gli uccelli, e le attività spontanee degli ecosistemi a essi collegati – perché per ogni ettaro di terreno che viene distrutto attraverso le loro operazioni, la biodiversità e l’attività degli ecosistemi collegate a quello stesso ettaro di terreno saranno protette o ripristinate altrove.

Quello della multinazionale mineraria anglo-canadese Rio Tinto/QMM nella regione di Anosy, sud-est del Madagascar, una delle isole dal punto di vista biologico e culturale più variegate al mondo, è forse il progetto di compensazione più pubblicizzato nel settore minerario. L’obiettivo dichiarato sarebbe quello di compensare la perdita di biodiversità (derivante dalla distruzione di una foresta costiera unica e rara) legata all’apertura di una miniera d’ilmenite (minerale di ferro e titanio) a Fort Dauphin, nel sud del paese, con l’introduzione di restrizioni all’uso di un’altra foresta, a circa 50 chilometri a nord del sito estrattivo.

Solo divieti

Le lunghe chiacchierate con gli abitanti del villaggio di Antsonso, dove le restrizioni all’uso della foresta sono già in atto da tempo, hanno rilevato che il quadro reale è molto diverso dalle storie raccontate negli opuscoli patinati distribuiti dalla multinazionale. La sussistenza degli abitanti del villaggio, circa 1000 persone che prima sopravvivevano solo grazie alla foresta, è praticamente compromessa. A questo riguardo, si veda: Rio Tinto in Madagascar: A mine destroying the unique biodiversity of the littoral zone of Fort Dauphin (WRM e Re:Common, 2016).

Erano state assicurate alternative in grado di generare reddito per alleviare la perdita, ma non si sono mai materializzate, mentre il territorio è ormai cosparso di divieti: vietato coltivare la manioca o altro, vietato raccogliere la legna da ardere, vietato tagliare gli alberi per costruire le piroghe per la pesca.

E così i residenti del villaggio sono lasciati in una situazione disastrosa: la comunità è stata costretta ad aprire campi per coltivare la manioca sulle dune di sabbia a vari chilometri di cammino dal villaggio, ma il rendimento è basso e le famiglie non possono sfamarsi. Anche la pesca nelle lagune e nel mare lungo la costa è compromessa, perché senza nuove piroghe non c’è modo di sostituire quelle usurate.

Doppio furto

In sintesi, la compensazione della biodiversità si traduce in un doppio furto di terra, portata via alle comunità non solo laddove si scavano miniere o si costruiscono infrastrutture, ma anche nelle zone che si prevede di utilizzare per la compensazione, con effetti devastanti sulle popolazioni che vivono in entrambi i siti.

Per descrivere tutto questo è nato Your Mine, il breve documentario di Stefano Martone e Fosco d’Amelio prodotto dall’associazione Re:Common che, affidandosi alle voci e ai volti degli abitanti di Antsonso, presenta con semplicità e chiarezza come davanti al profitto non ci siano davvero più limiti. Your Mine dimostra come oggi si possa distruggere impunemente (e legalmente) un territorio così come l’esistenza di chi ci vive, arricchendosi enormemente e passando per amico della natura. Il capolavoro della green economy.

(Pubblicato il 23/02/2017)