Il referendum costituzionale e l’ambiente

Referendum_Ambiente_CDCA[di Giovanni Carrosio e Giorgio Nebbia su ecologiapolitica.org] I cambiamenti della Costituzione che siamo chiamati a confermare o declinare nel referendum del 4 dicembre si basano sulla convinzione che per stare al passo con i tempi, le democrazie debbano velocizzare l’azione dei Governi, rendendoli più liberi di agire grazie al labile controllo di una sola camera: il principio che consegna nelle mani del Parlamento il potere legislativo viene così rovesciato. Allo stesso modo, l’equilibrio del potere legislativo garantito dalla presenza di due Camere che si controllano reciprocamente (il Senato avrebbe dovuto rappresentare un’assemblea di persone più anziane, possibilmente più sagge; negli Stati Uniti una Camera può avere maggioranza democratica e l’altra repubblicana; in Inghilterra la Camera dei Lord era pensata per temperare le intemperanze della Camera dei Comuni) viene eliminato, mettendo la Camera dei deputati al centro del processo legislativo, mentre viene riservato al Senato un ruolo assolutamente secondario. La Camera, così configurata, diviene un luogo di ratifica della decretazione governativa, anziché il luogo in cui le azioni del Governo vengono ponderate e gli errori vengono evitati. I Governi, infatti, possono commettere molti errori. Pensiamo ai programmi governativi nucleari sbagliati, al deposito di scorie di Scanzano, al finanziamento di fabbriche che non hanno mai prodotto niente o hanno prodotto merci pericolose, agli interventi militari. E più di recente ai progetti governativi di completare il Mose di Venezia nonostante la sua evidente e comprovata inutilità, al ponte dello Stretto di Messina, alle opere sbagliate, eccetera.

Una riforma nell’interesse dei cittadini dovrebbe rafforzare il controllo del Parlamento sul modo in cui il Governo ‘esegue’ i suoi ordini, piuttosto che dare mano libera al Governo di incedere a tappe forzate con scelte sbagliate e ostili all’ambiente. Che sia meglio ridurre il numero dei parlamentari, rafforzare il legame fra eletti e elettori – farli sentire responsabili verso il proprio collegio elettorale – sono questioni da riforma elettorale, per le quali non era necessario modificare la Costituzione.

La riforma che siamo chiamati a giudicare parte dal presupposto della governabilità, ovvero dalla convinzione che soltanto Governi ai quali venga garantita la possibilità di governare indipendentemente dalle intemperie parlamentari possano agire nel bene del Paese. Si dà per scontato perciò che le decisioni del Governo siano sempre giuste e proprio per questo il Parlamento deve approvarle.

Al di là del tema puramente democratico, di assoluta importanza di per sé, ci chiediamo se la governabilità sia capace di affrontare le questioni ambientali più urgenti: cambiamento climatico, inquinamento e depauperamento dei suoli, dissesto idrogeologico, conversione ecologica della produzione di beni, transizione energetica, ecc. Se guardiamo i Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, la risposta non può che essere negativa. I Governi hanno sempre rappresentato gli interessi di grandi gruppi industriali e hanno utilizzato la spesa pubblica non per una grande opera di ripristino ambientale del Paese, ma per opere inutili e dannose. A ben guardare, però, anche l’attuale assetto istituzionale non è stato capace di garantire che la questione ambientale divenisse tema di interesse prioritario del potere legislativo. Per portare l’ambiente al centro dell’agenda politica abbiamo bisogno di Parlamenti sensibili alla questioni ambientali, che esprimano Governi capaci di fare scelte radicali e necessarie. Bicameralismo o monocameralismo, governo del premier o parlamentarismo, sembrano essere entrambi incapaci di affrontare le vere questioni del nuovo millennio. Forse non è tanto questione di assetto istituzionale dello Stato, ma di riforma della politica, del modo di fare politica, di come le nuove istanze possono entrare nelle arene decisionali.

Pubblicato a ottobre 2016