L’ambiente al centro dei conflitti armati

[di Maria Marano per CDCA] I conflitti armati e le guerre provocano ingenti danni all’ambiente, in modo collaterale o in maniera deliberata quando le devastazioni degli ecosistemi naturali diventano delle vere e proprie strategie militari, come ad esempio la tattica della terra bruciata per evitare l’avanzata del nemico, l’utilizzo delle mine sotterranee per inquinare le falde acquifere o la devastazione di raccolti e foreste. Eppure, gli esiti prodotti dai conflitti in termini di costi ambientali sono ancora troppo spesso trascurati. È soprattutto a partire dagli anni Settanta che questi sono cresciuti drasticamente a causa dell’utilizzo di armi sempre più potenti e con effetti a più ampio raggio (su aria, acqua, suolo), con possibili ricadute anche oltre i confini degli Stati coinvolti nel conflitto. In quegli anni un caso emblematico è diventato l’utilizzo in Vietnam dell’agente Orange da parte dell’esercito americano. Un defoliante potentissimo che ha distrutto chilometri di foresta, raccolti, biodiversità. Gli effetti sulla salute umana (tumori, malformazioni, malattie della pelle e degli organi interni) e sull’ambiente sono stati devastanti anche dopo la fine della guerra.

(Solo) dal 2001 le Nazioni Unite, con la risoluzione A/RES/56/4, hanno deciso di portare l’attenzione internambiazionale su questa problematica riconoscendo il 6 novembre come la giornata mondiale per la “prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato”. L’obiettivo è quello di portare l’attenzione sugli effetti devastanti della guerra e dei conflitti armati sull’ambiente che ne diventa una delle principali vittime.

È sempre più evidente che le guerre che insanguinano il mondo sono – oltre che una catastrofe umana ed economica – un vero e proprio disastro ecologico con conseguenze che si prolungano anche nel tempo.

Sfruttamento delle risorse naturali nell’epoca del cambiamento climatico: la scintilla di numerosi conflitti

Se da un lato i conflitti lasciano dietro di sé devastazione ambientale dall’altro una distribuzione non equa di risorse naturali sempre più scarse, come minerali o metalli, terre fertili e risorse idriche possono diventare la causa scatenante di scontri armati.

Secondo i dati riportati nel Rapporto “From conflict to peacebuilding. The role of natural resources and the environment” del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) negli ultimi 60 anni almeno il 40% dei conflitti interni (guerre civili come quelle in Angola, Congo, Darfur, Medio Oriente) si lega allo sfruttamento delle risorse naturali (legno, diamanti, oro, terreni fertili, acqua). Inoltre, una minaccia sempre più incombente sull’insorgere di nuovi conflitti violenti è rappresentata dai cambiamenti climatici che impattano negativamente sulla disponibilità di risorse naturali e di mezzi di sussistenza. Eventi meteorologici estremi così come lunghi periodi di siccità, principalmente nei Paesi del Sud del mondo, hanno un forte impatto sulle economie locali, legate principalmente ai servizi ecosistemici, così come sui diritti delle persone, tanto da creare tensioni sociali che scoppiano in veri e propri conflitti.

La devastazione dell’ambiente è anche la causa di milioni di sfollati costretti ad abbandonare le proprie terre per cercare un luogo più sicuro dove poter vivere. Molti flussi migratori partono dalle campagne per arrivare nelle periferie delle grandi megalopoli già densamente popolate, ciò porta a sua volta a innescare ulteriori conflitti e a condizioni di vita non sostenibili.

Il Rapporto “The Human Cost of Weather Related Disasters”, pubblicato dal CRED (Centre for Research on the epidemiology of disasters) e dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione dei disastri, ha rilevato che negli ultimi 20 anni circa il 90% delle catastrofi registrate nel mondo sono state provocate da fenomeni legati al clima (inondazioni, tempeste, siccità?). Inoltre, un recente studio “Climate as a risk factor for armed conflict, pubblicato sulla rivista scientifica Nature (2019), ipotizza un aumento dei conflitti armati fino al 26% se la temperatura globale continuerà ad aumentare. I ricercatori hanno prospettato diversi scenari proprio in base all’aumento dei diversi livelli di temperature.

La guerra in Siria e? sicuramente un caso rappresentativo in tal senso. Le sue origini sono legate al periodo di siccità che ha colpito il Paese a partire dal 2006 e che ha aggravato i disordini sociali, facendoli sfociare in una rivolta che è diventata poi un conflitto internazionale.

È quindi sempre più evidente che la protezione dell’ambiente necessita di diventare parte integrate delle più ampie strategie per la prevenzione dei conflitti e per una pace duratura. Non si può pensare a una pace che duri nel tempo se vengono distrutte le risorse naturali e gli ecosistemi che forniscono sostentamento alle popolazioni.