L’Artico rovente, fino a 20 gradi più caldo. E la calotta glaciale tocca nuovi minimi

170506551-52adb1a4-fdb3-4c52-b145-e5fdb022bd16[di Matteo Marini su repubblica.it] A novembre in alcune zone la temperatura media, oltre l’80esimo parallelo, è salita a livelli mai registrati prima, così quella del mare, superiore di 4°C.

IL SOLE non sale più al di sopra dell’orizzonte, la lunga notte ha già abbracciato gran parte dell’Artico ma al Polo nord è un autunno caldo, anzi, rovente. È un trend annunciato da tempo ma le anomalie delle temperature e dell’estensione della calotta polare stanno toccando livelli che sorprendono anche gli scienziati.

Cominciamo dalla ‘febbre artica’: negli ultimi giorni i grafici del Danish meteorological institute hanno registrato valori dell’atmosfera superiori alla media del periodo fino a 20 gradi centigradi. Una forbice mostruosa che riguarda la zona a nord dell’80esimo parallelo, ora immersa nel buio e per questo ancora più preoccupante. E anche il mare non sta meglio, la sua temperatura media è superiore di circa quattro gradi.

Da maggio 2015 ogni record mensile per quanto riguarda la temperatura globale è stato demolito. E i ghiacci del polo sono come un termometro dei cambiamenti climatici. A settembre, quando l’estensione della calotta polare raggiunge il minimo annuale, si è toccato il secondo record negativo da quando esistono le osservazioni satellitari: 4,14 milioni di chilometri quadrati. Solo nel 2012 era andata peggio di così. Ma da due mesi a questa parte la situazione è precipitata.

L’estensione attuale del ghiaccio attorno al Polo nord infatti è ben al di sotto dei valori medi (inferiore di ben due milioni di chilometri quadrati), ma anche a quelli di quattro anni fa: un milione di chilometri quadrati in meno (più del dieci per cento). Per tre giorni consecutivi, dal 17 al 19 novembre, il processo si è invertito e la superficie è addirittura diminuita invece che aumentare, come fa, in inverno.

“Purtroppo ci aspettavamo una cosa del genere – spiega Carlo Barbante, direttore dell’Istituto dinamica processi ambientali del Cnr e professore all’università Cà Foscari di Venezia – anche se si tratta di un fenomeno eccezionale, si inserisce in un trend complessivo molto preoccupante. Negli ultimi 25 anni abbiamo perso il 30 per cento del ghiaccio marino e questo crea una amplificazione. Il mare assorbe più calore e così aumenta ancora la temperatura”.

E anche se nelle prossime settimane è atteso un ‘recupero’, il problema è molto più profondo e riguarda le caratteristiche del ghiaccio stesso che nell’ultimo secolo si è dimezzato. Una progressione sempre più veloce nel corso dell’ultima generazione. Di anno in anno, infatti, si è fatto sempre più sottile e secondo le rilevazioni dei satelliti Nasa e Noaa (il centro meteo americano) sta progressivamente scomparendo il ghiaccio “vecchio”, quello cioè che persiste da più anni sotto a quello che si forma ciclicamente con le stagioni.

Da mesi gli allarmi si ripetono. A luglio e a ottobre la Nasa e il Noaa, a novembre l’Onu, hanno candidato, sulla base di anomalie sempre più preoccupanti, il 2016 a essere il più caldo di sempre. Con una temperatura media superiore di 1,2  gradi rispetto all’epoca preindustriale e con livelli di CO2 nell’atmosfera che hanno doppiato, stabilmente, quota 400 parti per milione. Una specie di soglia psicologica, varcata anche al Polo Sud per la prima volta in quattro milioni di anni.

Ed è una tendenza per la quale non esiste prospettiva di inversione, il ghiaccio perso non tornerà: “Assolutamente no – conclude Barbante – i modelli più ottimistici riguardano proprio il rispetto degli accordi internazionali. Possiamo sperare al massimo in un assestamento a livelli poco inferiori di quelli attuali, una stabilizzazione a circa 3-5 milioni di chilometri quadrati di ghiaccio marino, consideriamo che eravamo attorno ai 15 milioni. Nella prospettiva peggiore, invece, lo scenario prevede che attorno al 2080 avremo tutto l’Artico libero dal ghiaccio nella stagione estiva”.

Ormai la responsabilità dell’uomo nell’influenzare i cambiamenti climatici è un dato accettato dalla maggioranza della comunità scientifica. Così come sono evidenti gli effetti sulla fauna, dovuti a questa veloce trasformazione che stanno subendo le aree più vulnerabili del pianeta. Per questo il rispetto degli impegni assunti al Cop 21 del 2015 e ora al Cop 22 di Marrakech saranno un banco di prova soprattutto per i paesi più industrializzati, nell’incentivare le rinnovabili e nella riduzione delle emissioni. In attesa di conoscere l’impatto che avranno, su queste promesse, le politiche di Donald Trump, una volta insediatosi alla Casa Bianca.

(Pubblicato il 22/11/2016)