LE MILLE BOLLE … DI METANO

[di Emma Gagliardi per CDCA] Sappiamo già tutto sulle emissioni climalteranti? L’allarmismo che si sta diffondendo è inutile, superfluo, o al contrario stiamo addirittura sottovalutando i rischi di cambiamenti ormai irreversibili?

La minaccia dell’effetto serra, uno dei primi argomenti ad entrare nella cultura ambientalista di massa, si è indubbiamente evoluta, assumendo sfaccettature ed implicazioni nuove e variegate. È stata chiarita infatti la complessità di alcuni meccanismi atmosferici, biochimici e fisici che rendono inscindibile il legame tra oceani, aria e terra; si è fatta luce sui nessi fondamentali che rendono il tanto chiacchierato cambiamento climatico la nuova realtà nella quale l’umanità tutta si ritrova a vivere e con la quale fa quotidianamente i conti. Che ne sia consapevole o meno, che voglia accettarlo o meno.

Dovrebbe aver sorpreso tutti la recente notizia sulle temperature nella Penisola Antartica, l’ultima roccaforte del ghiaccio: +20°C contro una media che può oscillare tra i -50°C e i -25°C, a seconda delle altitudini. E non è tutto. Le registrazioni satellitari degli ultimi anni rivelano che dal 2014 il processo consolidato di aumento delle estensioni di ghiaccio nell’Antartico si è invertito e che la superficie complessiva sta notevolmente diminuendo, registrando il punto di minimo degli ultimi 40 anni.

Se questo è ciò che accade nel luogo più a sud del Pianeta, quale sarà la situazione al Polo Nord? Il Circolo polare artico, a differenza di quello antartico, è sostanzialmente un oceano circondato da terre, all’interno del quale emergono zone interamente ricoperte di ghiaccio per tutto l’arco dell’anno. Proprio la presenza dell’acqua fa sì che si alternino stagioni di rigidità e mitezza del clima: le temperature nel periodo invernale possono scendere fin sotto i ?50°C in alcune zone, mentre si va dai ?10 °C ai +10 °C nel periodo estivo. Ma c’è un’ulteriore caratteristica che sicuramente lo contraddistingue: nel Mare Glaciale Artico è concentrato circa un terzo del carbonio presente sul Pianeta: 1600 miliardi di tonnellate di metano e CO2 disseminati su un’area di 22.8 milioni di chilometri quadrati, una delle maggiori riserve naturali di metano al mondo.

Ebbene si, stiamo parlando di un grandissimo quantitativo di quei gas che immediatamente ci fanno pensare al Global Warming. Ma perché mai dovremmo preoccuparcene se sono sotterrati a decine, centinaia di metri di profondità ed oltretutto lontani da noi migliaia di chilometri?

Capiamoci meglio. Questi gas, rilasciati dalla decomposizione anaerobica di materia organica, sono rimasti intrappolati in rocce uniche per le loro caratteristiche termiche: il permafrost, lo strato più interno del terreno glaciale che, a differenza di quello esterno che giaccia d’inverno e scongela d’estate, rimane sempre sotto lo zero. Insomma è ciò che resta dell’ultima glaciazione terminata undicimila anni fa. Almeno finora.

Le cose stanno drasticamente cambiando si sa, ma la portata sconvolgente delle ulteriori trasformazioni in corso è nell’irreversibilità dei loro effetti.

La temperatura media annua nel circolo polare artico è passata dai -2°C del 1880 ai circa +1.75°C di fine 2019. Tramite le misurazioni dei flussi di metano atmosferico, acquisite durante una spedizione scientifica statunitense condotta dall’estremo Nord della Norvegia fino all’Alaska, gli scienziati del National Snow & Ice Data Center (Nsidc) hanno dimostrato l’esistenza di alcuni hotspot ovvero punti in cui le emissioni di metano mostrano picchi fino a 25 volte più elevati rispetto alla media. Ed è qui che entra in gioco il permafrost. I risultati di uno studio pubblicato su Science Advances descrivono una situazione in cui l’erosione degli strati di ghiaccio più interni, porta gradualmente in superficie vere e proprie bolle di metano che letteralmente esplodono in atmosfera riducendo il suolo ad una superficie irregolare con bacini paludosi e piccoli monticelli.

Non è la prima e unica osservazione del cosiddetto termocarsismo, un fenomeno che non a caso prende il nome dalle superfici bucherellate che caratterizzano le Alpi del litorale Carso al confine tra l’Italia e la Slovenia. Il permafrost è presente infatti anche nelle catene montuose più vicine a noi, e la sua scomparsa può avere importanti ripercussioni a livello alpino non solo sulla stabilità di versanti e pareti ad alta quota ma anche sul complessivo regime idrico e sulla portata dei corsi d’acqua.

Nonostante le previsioni sostenessero che lo scioglimento del permafrost sarebbe avvenuto fra cento anni, il processo è inequivocabilmente già iniziato e la soglia di stabilità è stata superata. Lo hanno annunciato gli esperti russi dalla stazione di ricerca nord-orientale della Yakutia, nell’area di Chersky, al di sotto del circolo polare artico. Pertanto, sebbene ad oggi la concentrazione atmosferica di metano sia inferiore rispetto a quella di CO2 (414 parti per milione contro 1870 parti per miliardo), la previsione di un imminente rilascio accelerato di metano deve preoccuparci, essendo questo uno dei principali contributori al riscaldamento globale, 25 volte più potente dell’anidride carbonica.

Sono dati che possono aiutarci a comprendere meglio un evento fisico giovane, nato e cresciuto negli ultimi decenni, ma col quale dobbiamo inevitabilmente iniziare a fare i conti per una lotta sensata ed efficace al cambiamento climatico.