Le mire di Italia e Croazia sul petrolio dell’Adriatico

trivellazioni_offshore[di Giampaolo Tarantino su linkiesta.itCi sono già 1300 pozzi attivi. La Croazia trivella ancora, l’Italia vorrebbe ma non può

 

Incrementare la produzione di idrocarburi come previsto dalla Strategie economica nazionale (Sen) e, allo stesso tempo, non depotenziare la salvaguardia del territorio. È questo il quadro su cui deve vigilare il Ministero dell’Ambiente: «Sono convinto che non vi possa né debba esserci antagonismo fra ambiente e sviluppo, anche su un tema delicato come quello delle ricerche di idrocarburi», spiega il Ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti in una conversazione con Linkiesta.

 

Rafforzamento della sicurezza e indipendenza dell’approvvigionamento nazionale, con una riduzione di circa 14 miliardi l’anno di acquisti energetici dall’estero: questi i pilastri della Sen. Il governo punta infatti a raddoppiare la produzione di idrocarburi, arrivando a 24 milioni all’anno di barili equivalenti – l’unità di misura che omogeneizza petrolio e gas – entro il 2020. Inoltre, toglie alle Regioni il potere di veto sulla ricerca e sulla trivellazione di giacimenti di petrolio e di metano.

 

Mentre l’Italia progetta il proprio futuro energetico, c’è già chi si è mosso per tempo. Nella primavera del 2014 la Croazia ha deciso di trivellare nel Mare Adriatico per cercare giacimenti di idrocarburi. La scorsa settimana, Il nostro Ministero dell’Ambiente ha chiesto e ottenuto dal governo croato l’avvio di consultazioni transfrontaliere sul piano di trivellazioni lanciato da Zagabria. Le esplorazioni in mare verranno effettuate lungo la linea di confine delle nostre acque territoriali. Ma cosa spinge l’Italia a controllare le attività esplorative della Croazia? In realtà, secondo il Ministro dell’Ambiente non è corretto parlare di “controllo”. «Si tratta di cooperazione internazionale su un tema strategico per l’Europa come l’energia. E’ una possibilità prevista da una direttiva comunitaria e dalla convenzione internazionale di Espoo. Partecipiamo alle valutazioni croate per contribuire a prevenire ogni impatto, anche potenziale, sulle acque e le coste di tutto l’Adriatico, un mare che ci unisce e che sta a entrambi molto a cuore». La scorsa settimana Galletti ha incontrato a Bruxelles il viceministro croato all’Ambiente, Dokoza . «Lì ho avuto conferma che non verranno firmati contratti fino al termine della procedura di valutazione ambientale strategica, i cui esiti saranno inseriti nei contratti di concessione. Credo che le osservazioni italiane, che verranno sia dal ministero che dalle regioni interessate, saranno prese in grande considerazione dal governo di Zagabria. L’obiettivo è comune e il percorso è condiviso».

 

Nel Mare Adriatico ci sono oltre 1300 pozzi attivi. L’Italia, va detto, ha una legislazione piuttosto restrittiva sulle trivellazioni. Secondo i dati della Commissione Attività produttive della Camera, al 31 dicembre 2013, nel nostro Paese «risultano vigenti sul territorio italiano 115 permessi di ricerca (di cui 94 sulla terraferma, e 21 in mare) e 200 concessioni di coltivazione (di cui 134 sulla terraferma e 66 in mare)». Per quanto riguarda invece le attività offshore (cioè quelle al largo delle coste) i permessi e le concessioni sono compresi in sette aree marine. In Italia, infatti, solo alcune aree della piattaforma continentale sono aperte alla ricerca di idrocarburi. Adesso il governo del premier Zoran Milanivic ha deciso di dare la caccia agli idrocarburi a pochissimi chilometri dalle coste italiane. Anche altri paesi rivieraschi come Grecia, Albania e Montenegro vogliono valorizzare il sottosuolo marino per incassare royalties e ridurre la dipendenza dagli approvvigionamenti dall’estero.

 

L’Italia, come previsto dallo “Sblocca Italia” e dalla Sec vuole aumentare la produzione di idrocarburi ma in Parlamento le cose si sono fatte piuttosto complicate. Lo scorso 3 marzo, il Senato ha approvato contro il parere del governo un emendamento al disegno di legge sui reati ambientali che prevede la pena alla reclusione fino a un massimo di tre anni per l’utilizzo della tecnica dell’”air gun” per le attività di esplorazione dei fondali. Una tecnica di molto diffusa che viene usata dalle aziende energetiche ma anche dai centri di ricerca. Secondo i senatori di Gal, «con questa mossa si impediscono nuove trivellazioni nel Mar Mediterraneo». Giovedì 12 marzo, in Commissione Ambiente alla Camera, il capogruppo di Sel, Serena Pellegrino ha respinto la richiesta del sottosegretaria allo Sviluppo economico Simona Vicari di rivedere la norma che punisce l’uso dell’ “air gun” nelle esplorazione e nelle coltivazione di idrocarburi. Nella stessa giornata i senatori delle opposizioni si sono ritrovati insieme con le maggiori associazioni ambientaliste per organizzare altre iniziative contro le trivellazioni. A cominciare dalla “sorveglianza” sulla moratoria decisa con un ordine del giorno che impegna il governo a non rilasciare più autorizzazioni.

 

In questo condizioni è davvero possibile pensare a un modello e a un quadro regolatorio capaci di coniugare rispetto dell’ambiente e sviluppo economico? «L’Italia ha una normativa in materia molto rigorosa e stringente, ed è mio compito farla rispettare», ci dice il Ministro Galletti. «Esiste inoltre un quadro normativo europeo che impone a tutti i paesi regole comuni proprio nella consapevolezza che, soprattutto nel Mediterraneo, si lavora su un mare “comune” e che gli effetti di ricerche ed estrazioni offshore possono riguardare diversi paesi rivieraschi. Le consultazioni con la Croazia si inseriscono in questo ambito di collaborazione all’interno dell’Unione europea ma credo che l’Europa debba fare un passo ulteriore impegnandosi per definire anche con i paesi della sponda sud del mediterraneo un sistema di tutele e garanzie. E’ questa la prospettiva, anche se oggi presenta elementi di difficoltà data la situazione che vivono alcuni paesi nord-africani. L’obiettivo deve essere quello di fare del Mediterraneo un’area sicura dal punto di vista ambientale in cui anche attività sensibili come quelle estrattive possano svolgersi in una cornice di regole e procedure tecniche condivise».

 

Pubblicato il 13 marzo 2015 su linkiesta.it