L’insostenibile incoerenza delle politiche italiane sul clima

1[tratto dal dossier L’Italia vista da Parigi] Il 4 ottobre 2016, giorno in cui entrambe le condizioni per l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi venivano raggiunte (ovvero: che almeno 55 paesi l’avessero ratificato e che in totale fossero rappresentate almeno il 55% delle emissioni globali), il Consiglio dei Ministri Italiano approvava il disegno di legge Ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi collegato alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato a Parigi il 12 dicembre 2015.

Passato alla Camera il 19 ottobre e al Senato il 27 ottobre, il decreto legge è stato approvato in entrambi i casi all’unanimità, e così il 27 ottobre anche l’Italia ha definitivamente ratificato l’Accordo di Parigi. L’Italia si è così impegnata a ridurre le sue emissioni di gas ad effetto serra; a non porre in atto politiche contrastanti con gli obiettivi di de carbonizzazione (cioè raggiungere un’economia  senza emissioni) e a partecipare alla prima capitalizzazione del Fondo Verde per il Clima con 50 milioni di euro per tre anni, fino al 2018.

Per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, l’Italia partecipa al Nationally Determined Contribution presentato dall’Unione Europea all’UNFCCC. Nel luglio 2016 la Commissione Europea ha emanato una proposta di Effort Sharing Regulation (1), letteralmente “condivisione degli sforzi”, in base alla quale ogni Stato Membro deve ridurre entro il 2030, e con percentuali diverse a seconda dei Paesi, le emissioni di CO2 relative alle attività dei settori non industriali (cioè le emissioni da trasporto, costruzioni, agricoltura, gestione dei rifiuti). Questi settori sono anche detti settori non-ETS perché non partecipano all’Emission Trading System di cui abbiamo parlato nel capitolo 4 e che si applica invece ai settori industriali.

La percentuale di riduzione per ciascun Paese è stata calcolata dalla Commissione Europea in base a complessi calcoli tecnici, al PIL di ciascun paese e in base al principio di equità. Nel caso dell’Italia, la proposta dell’Effort Sharing Regulation prevede una riduzione delle emissioni al 2030 del 33% rispetto al 2005. Premendo sul principio di equità nella distribuzione della riduzione delle emissioni, la delegazione italiana aveva cercato di ottenere obiettivi meno rigidi. A detta della delegazione italiana, infatti, le percentuali di riduzione delle emissioni sarebbero state calcolate in maniera non equa in quanto non sono stati considerati i risultati già raggiunti in passato dall’Italia nell’ambito delle energie rinnovabili.

In ogni caso, come già esposto nei capitoli 2 e 4, l’NDC dell’Unione Europea dovrà essere rivisto al rialzo, visto che esso prevede una riduzione del 30% delle attività non-ETS, dunque uno sforzo insufficiente rispetto al 40-50% di riduzione delle emissioni che l’Europa dovrebbe attuare entro il 2050 per contribuire equamente a livello internazionale al contenimento del riscaldamento entro la soglia 1,5°C (2).

Visto che l’obiettivo per la seconda metà del secolo è di raggiungere un’economia a zero emissioni di carbonio, tanto vale cominciare a rimboccarsi le maniche. Con la ratifica dell’Accordo di Parigi l’Italia si è infatti impegnata a lottare contro i cambiamenti climatici. Questo significa mettere in atto politiche energetiche che favoriscano lo sviluppo di tecnologie rinnovabili pulite e porre fine allo sfruttamento delle fonti fossili. La transizione energetica verso un’economia zero carbon richiede una programmazione politica precisa, con tappe intermedie che si allineano agli obiettivi di decarbonizzazione fissati a livello internazionale.

Energia e infrastrutture

I principali provvedimenti approvati in Italia

1. Strategia Energetica Nazionale (SEN). Varata dal Governo Monti nel 2013, ancora oggi la SEN è il riferimento normativo in ambito energetico. Gli obiettivi sono: favorire la crescita economica sostenibile, ma senza rinunciare alle fonti fossili; rafforzare l’indipendenza energetica; raggiungere standard di qualità europea e ambientali; ridurre il gap di costo dell’energia per i consumatori e le imprese, allineando l’Italia con prezzi e costi europei.

2. Legge del 21 febbraio 2014 n. 9. Converte in legge il Decreto Legge 23 dicembre 2013 n. 145 emanato dal governo Letta e autorizza l’erogazione di incentivi per 20 anni per la realizzazione una centrale a carbone nel Sulcis, in Sardegna.

3. Spalma Incentivi. Contenuto all’interno del Decreto Legge Competitività 91/2014 emanato dal Governo Renzi e successivamente convertito in legge n. 116 dell’11 agosto 2014. Comporta una riduzione degli incentivi per gli impianti fotovoltaici con potenza nominale superiore a 200kW. La legge ha funzione retroattiva e si applica anche agli incentivi già concessi. Il 6 dicembre 2016 avrà luogo la prima udienza presso la Corte Costituzionale per verificare la costituzionalità di questo aspetto del provvedimento.

4. Decreto Legge n. 133 del 12 settembre 2014, detto Sblocca Italia. Il decreto, emanato dal Governo Renzi è stato convertito in legge con doppio voto di fiducia, sia alla Camera che al Senato, causando una forte ed articolata opposizione sociale. Gli articoli 36, 37 e 38 incoraggiano l’attività estrattiva per mezzo della formula di rito che identifica le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale “operazioni di interesse strategico” e di “pubblica utilità, urgenti e indifferibili”.

Il decreto sblocca inoltre numerosi cantieri per grosse infrastrutture, per un valore di 28 miliardi 866 milioni, di cui gran parte in opere autostradali e aereoportuali (10,4 miliardi solo per l’Autostrada Orte-Mestre, 2,1 mld per l’Aeroporto di Fiumicino, 1,3 mld per il Passante autostradale di Bologna, 1,2 mld per l’Autostrada regionale Cispadana, 1 mld per l’Autostrada Valdastico Nord, 200 milioni per la Superstrada Lioni-Grottaminarda, 55 mln per la Superstrada Rho-Monza, 890 mln per l’Aeroporto Malpensa, 360 mln per l’Aeroporto di Venezia, 280 mln per l’Aeroporto Firenze, e così via).

All’articolo 35 viene infine promossa la realizzazione di nuovi inceneritori definiti come “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente”.

5. Decreto 23 giugno 2016 Incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico. Emanato dal governo Renzi. Prevede l’introduzione di incentivi per eolico, biomasse, idroelettrico geotermico, rifiuti e solare termodinamico. È escluso il solare fotovoltaico.

6. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 agosto 2016. Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani ed assimilati. Emanato dal governo Renzi. Vengono stabilite la macro aree in cui realizzare 8 nuovi inceneritori e le loro capacità.

Riassunti i principali interventi, di seguito proponiamo una disamina delle politiche italiane degli ultimi anni in tema di energia. L’analisi dei dati relativi agli impatti di queste politiche è essenziale per capire se ci sia o meno continuita? e coerenza tra gli impegni assunti a livello internazionale e le politiche nazionali.

Eliminazione (retroattiva) degli incentivi al fotovoltaico

Secondo il rapporto Greenitaly 2016 (3) promosso da Fondazione Symbola e Unioncamere, nel mese di giugno 2016 la quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ha superato, in Italia, quella da fonti fossili. L’Italia vanta, tra le principali economie europee, la quota piu? elevata di contributo delle rinnovabili sul consumo interno lordo di energia elettrica, con un valore che e? passato dal 6,3% del 2004 al 17,1% del 2014. A livello mondiale, l’Italia vanta invece il record, tra i paesi industrializza- ti, nella quota di fotovoltaico (8%) nel mix elettrico nazionale. Questi record sono stati possibili grazie ad una politica di incentivi per le energie rinnovabili implementati dal 2004 al 2013.

La situazione e? drasticamente cambiata nel luglio 2013 quando sono stati eliminati gli incentivi al fotovoltaico, facendo registrare un drastico calo nel numero di nuovi impianti fotovoltaici che entrano annualmente in produzione. Secondo i dati ufficiali (4) del Gestore dei Servizi Elettrici GSE, nel 2012 i nuovi impianti erano piu? di 150.000, passati nel 2013 a poco piu? di 115.000, per poi dimezzarsi nel 2014 con circa 52.000 e diminuire ancora nel 2015 passando a circa 40.000. In altre parole, in totale i nuovi impianti realizzati nel 2015 sono meno di un terzo rispetto a quelli messi in funzione nel 2012.

Secondo quanto riportato sul Rapporto Statico Solare Fotovoltaico del 2015 del GSE, gli impianti entrati in funzione nel 2015 sono diminuiti del 23% circa rispetto al 2014, con una riduzione del 30% della potenza installata. La riduzione piu? evidente ha caratterizzato gli impianti a maggiore potenza. I rapporti statistici del GSE del 2014 e 2015 mostrano che il numero dei nuovi impianti con Potenza superiore a 200 kW e? sceso da 450 nel 2013, a 117 del 2014 ed infine a 65 del 2015.

Il drastico calo nel numero di nuovi impianti con potenza superiore 200 kW e? connesso alle politiche energetiche messe in atto dal governo, che invece che favorire questo settore ha messo in atto delle politiche volte a disincentivare il settore del solare. In particolare cio? e? avvenuto grazie al Decreto Spalma Incentivi divenuto legge nel 2015, che ha stabilito che dal 2015 tutti gli impianti fotovoltaici con potenza nominale superiore a 200 kW non avrebbero piu? potuto usufruire degli incentivi gia? a loro assegnati.

Nel dettaglio, le aziende operanti nel settore avrebbero potuto scegliere una delle seguenti alternative:

1. la riduzione dell’incentivo (calcolata in base al tempo residuo di incentivazione) e contemporaneamente l’allungamento del periodo di incentivazione di 4 anni;

2. la riduzione dell’incentivo nel primo periodo ed un secondo periodo con un incentivo incrementato, mantenendo l’arco temporale immutato (ovvero di 20 anni);

3. la riduzione dell’incentivo del 6 o dell’8% in base alla grandezza dell’impianto, mantenen- do costante il periodo di riferimento.

Indipendentemente dall’opzione scelta, le imprese si sono ritrovate ad avere una riduzione degli incentivi per degli investimenti gia? effettuati, nonostante le indicazioni europee di evitare i tagli retroattivi ai meccanismi di incentivazione alle energie rinnovabili (5). Inoltre l’adozione dei provvedimenti inclusi nel decreto Spalma Incentivi ha creato un problema di credibilita? nei confronti delle aziende che avevano deciso di investire in Italia e che si sono ritrovate con le regole cambiate a meta? del gioco.

Prima dell’adozione del decreto Spalma Incentivi, l’Associazione Assorinnovabili, che raggruppa piu? di 500 imprese attive in Italia e all’estero nel campo delle rinnovabili, ha espresso la propria contrarieta? a tale decisione, argomentando che “andrebbe a ridurre ulteriormente e ingiustificatamente la profittabilita? degli impianti fotovoltaici“ (6).

Assorinnovabili ha anche presentato un report (7) in cui ha descritto quali potrebbero essere i disastrosi effetti del Decreto Spalma Incentivi, tra cui il danno all’immagine dell’Italia, il congelamento dei progetti di sviluppo da parte degli investitori, il rallentamento della ripresa del paese a causa dell’impatto che la riduzione degli investimenti potrebbe avere sugli istituti di credito finanziari, pubblici e privati, che hanno massicciamente investito nel fotovoltaico e le ripercussioni occupazionali.

Il settore del fotovoltaico e? stato escluso anche dai nuovi incentivi proposti dal governo con il Decreto 23 giugno 2016 chiamato, appunto, Incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico. Inclusi nella redistribuzione dei nuovi incentivi previsti da quest’ultimo Decreto sono invece i settori dell’eolico, idroelettrico, geotermico, biomasse, rifiuti e solare termodinamico.

Settore eolico

Dopo l’annuncio nel gennaio 2016 da parte dell’Associazione Associazione Nazionale Energia del Vento (Anev) della grave crisi che stava attraversando l’Italia a causa del ritardo dell’adozione del Decreto Ministeriale 23 giugno 2016, che ha causato la fuga di numerose aziende e portato all’installazione nel 2015 di soli 295 MW di nuova potenza eolica istallata, il 23 giugno 2016 il governo ha stanziato 85 milioni di euro per 860 MW di eolico terrestre e 10 milioni per 30 MW di impianti eolici in mare. Numeri contestati dall’Anev, che racchiude circa 5000 operatori di settore e piu? di 70 societa? che lavorano nelle rinnovabili: il presidente Simone To- gni ha precisato in tal senso che a causa dei meccanismi di assegnazione degli incentivi i numeri citati dal decreto rappresentano valori massimali ai quali bisogna applicare un 30- 40% di ribasso. Inoltre per quanto riguarda l’eolico in mare, secondo l’Anev, non si avranno grandi sviluppi: i costi di realizzazione sono troppo elevati considerando gli incentivi proposti(8).

La maggior parte degli impianti eolici oggi esistenti si trovano in Sicilia, Sardegna, Puglia, Campania e Basilicata. Sotto la pressione di associazioni e comitati cittadini diverse regioni tra cui la Campania hanno presentato una serie di leggi e moratorie per rallentare lo sviluppo dell’eolico definito selvaggio sui propri territori. Le ragioni dell’opposizione della cittadinanza sono legate a questioni fondamentali come la mancanza di pianificazione energetica territoriale, di una regolamentazione adeguata per lo sviluppo del settore eolico e di meccanismi che assicurino ricadute economiche positive sul territorio. A fronte di un utilizzo intensivo delle installazioni eoliche, non esistono infatti strumenti di redistribuzione della ricchezza pro- dotta che possano generare ricadute economiche positive a livello locale (9). Nel caso del territorio campano l’assenza di pianificazione, di politiche energetiche generali e di strumenti di partecipazione ha portato, grazie alla formula dell’esproprio per utilita? pubblica, alla creazione di un clima conflittuale tra gli attori coinvolti (imprenditoria, istituzioni e societa? civile) che ostacola la realizzazione di progetti realmente condivisi.

Incentivi alle biomasse

Come gia? ricordato, il Decreto del 23 giugno 2016 prevede lo stanziamento di incentivi anche per le biomasse. In particolare, vengono stanziati 105 milioni di euro per l’installazione di 90 MW di potenza, differenziati in base al tipo di alimentazione dell’impianto. La scelta dell’incentivo alle biomasse rappresenta pero? una questione controversa. I diversi tipi di combustibili ecologici (bioetanolo, biodiesel e biogas) possono essere ottenuti dalla fermentazione di varie tipologie di biomasse ricche di zuccheri e amidi come i cereali (ad esempio il mais), da materiali lignocellulosici, da piante oleaginose oppure dalla fermentazione di residui organici, presenti ad esempio nei rifiuti. Per quanto riguarda l’uso di biomasse vegetali, la creazione di colture dedicate non e? da considerarsi una soluzione sostenibile, sia per l’impatto sociale che ambientale. Secondo uno studio redatto dal World Resources Institute le coltivazioni agricole intensive con finalita? energetiche possono provocare grandi impatti ambientali come il peggioramento della qualita? dei suoli e delle acque superficiali e sotterranee, grazie anche all’eccessivo ricorso a composti chimici(10).

Per quanto riguarda le biomasse legnose, la questione controversa riguarda il conteggio delle emissioni. Nei calcoli delle emissioni di CO2 non basta considerare solo quelle prodotte durante il processo di combustione, ma e? necessario includere anche le emissioni generate dal processo di disboscamento (in termini di mancata cattura di CO2 ma anche di rilascio di carbonio presente nel sottosuolo) e di trasporto (aumento di traffico legato al trasporto di bio- massa verso gli impianti). Se e? da considerare positiva la realizzazione di centrali a biomassa di piccole dimensioni, alimentate con residui di boschi e di segherie per il riscaldamento di piccole realta? locali, la realizzazione di grandi impianti alimentati con legname proveniente ad esempio dall’estero, come in molti casi avviene, comporta un surplus di emissioni di CO2 legato all’incremento del traffico per il trasporto. Ne e? esempio il caso della Centrale ENEL del Mercure. Si tratta di una grossa centrale alimentata in passato a lignite e olio combustibile che, dopo anni di chiusura, e? stata riconvertita in un mega impianto a biomassa legnosa.

Lo stanziamento di incentivi pubblici per questa tipologia di energia non e? stata accolta bene, soprattutto dalle comunita? impattate. L’incentivo alle biomasse potrebbe infatti rendere piu? conveniente coltivare un terreno ai fini energetici piuttosto che preservare l’attivita? agricola.

Ancora idrocarburi

Con gli articoli 36, 37 e 38 del gia? citato decreto Sblocca Italia, il governo Renzi ha incoraggiato l’attivita? estrattiva per mezzo della formula di rito che identifica le attivita? di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale “operazioni di interesse strategico” e di “pubblica utilita?, urgenti e indifferibili.” Snellendo le procedure per ottenere le autorizzazioni, il governo ha depotenziato le autorita? regionali, favorendo le grandi compagnie petrolifere. Nove consigli regionali si sono opposti alle decisioni del governo promuovendo il Referendum sulle Trivellazioni del 17 aprile 2016 per abrogare l’art. 35 del Decreto Sviluppo n. 83/2012, che concede la proroga automatica alle concessioni di estrazione in mare entro le 12 miglia dopo la loro scadenza e fino ad esaurimento dei giacimenti.

L’obiettivo dei promotori del referendum era bloccare il rinnovo automatico delle concessioni per spingere il governo ad abbandonare le fonti fossili e conformarsi agli impegni assunti nell’Accordo di Parigi. Il governo Renzi, principale sostenitore del fronte del No all’abrogazione dell’art. 35, ha invitato i cittadini all’astensione, screditando in diverse occasioni l’importanza del voto popolare. Il referendum non ha raggiunto il quorum ma ha portato 13 milioni di cittadini ad esprimersi a favore del- l’abbandono delle attivita? estrattive in mare.

Da allora, in barba alle rassicurazioni del governo durante la campagna referendaria, sono stati numerosi i nuovi progetti estrattivi approvati co- si? come le nuove piattaforme realizzate. In Sicilia Edison ed Eni stanno realizzando la nuova piattaforma Vega B, da affiancare a Vega A, la piu? grande struttura Off-Shore in Italia. Se al referendum sulle Trivellazioni avesse vinto il si?, con ogni probabilita? la piattaforma Vega B sarebbe stata bloccata. Trovandosi nella zona di protezione delle 12 miglia infatti il rinnovo del permesso sarebbe scaduto nel 2022, senza possibilita? di rinnovo. Un tempo troppo limitato per rientrare di un investimento di circa 100 milioni di euro (12).

A luglio 2016, il TAR della Regione Lazio bocciando il ricorso (13) presentato dalla Provincia di Teramo, da sette comuni abruzzesi e da altri due comuni marchigiani contro il Decreto VIA, Valutazione di Impatto Ambientale rilasciato a favore della Spectrum Geo, ha dato il via libera alle attivita? di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, anche con airgun, per un tratto di costa adriatica di 30.000 kmq che interessa cinque Regioni, dalla riviera romagnola al Salento.

Con lo stesso procedimento, a settembre 2016, sempre il TAR Lazio ha rigettato il ricorso presentato dai Comuni calabresi e lucani con- tro il decreto VIA (14) rilasciato stavolta a favo- re di Enel Longanesi, che chiedeva di poter svolgere attivita? di ricerca nel Golfo di Taranto.

Avvantaggiata dalle politiche italiane anche la societa? australiana Global Petroleum Limited (Gpl) che, dopo essere stata autorizzata dal governo ad avviare l’iter di VIA, Valutazione di Im- patto Ambientale (15) per 4 permessi di ricerca idrocarburi nel mare in provincia di Bari e Brindisi nel 2014, nell’ottobre 2016 ha ottenuto il via libera grazie al decreto VIA rilasciato dal Ministero dell’Ambiente, nonostante la pressione della societa? civile che piu? volte ha espresso preoccupazione per i possibili impatti negativi dell’utilizzazione dell’airgun su fauna ed ecosistema (16).

Alla luce delle evidenze scientifiche esposte nel primo capitolo, che confermano la necessita? di mettere fine all’utilizzazione di tutti i combustibili fossili, il rinnovo delle concessioni e il rilascio di nuove autorizzazioni da parte del Governo appaiono in stridente contrasto con gli impegni presi nel quadro dell’Accordo di Parigi e sono da considerare misure di aggravamento del problema del cambiamento climatico.

Carbone: un ever green

Bruciare carbone e? la maniera piu? antica di produrre energia su larga scala; ma il carbone e? anche il combustibile fossile che contribuisce di piu? al cambiamento climatico, producendo il 30% in piu? di CO2 rispetto alla combustione del petrolio e 70% in piu? rispetto alla combustione di gas naturale(17). Secondo i dati di Assocarboni, in Italia sono tuttora attive 12 Centrali di grosse dimensioni (18). Enel ha annunciato, lanciando il progetto Futur-E, il proprio impegno a realizzare un processo di riconversione di ventitré centrali presenti sul territorio nazionale (di cui tre alimentate a carbone), tra cui tuttavia non compaiono le piu? grosse e inquinanti come la centrale Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia o la Federico II di Brindisi (19).

La gia? citata Legge n.9/2014, che ha convertito in legge il Decreto n. 145 del 23 dicembre 2013 ha inoltre previsto l’erogazione di incentivi per 20 anni per realizzare una centrale a carbone nel Sulcis, in Sardegna, nonostante siano ormai ben note le conseguenze negative delle centrali a carbone sull’ambiente e sulla salute umana. Secondo il rapporto La nuvola scura sull’Europa pubblicato a luglio 2016 da Health and Environment Alliance? – HEAL, Climate Action Network Europe? – ?CAN, WWF e Sandbag, nel 2013 in Europa le emissioni delle centrali a carbone hanno causato piu? di 22.900 morti pre- mature, decine di migliaia di casi di malattie e costi sanitari stimati in 62,3 miliardi di euro (20). Tra le 30 centrali a carbone piu? impattanti, all’ottavo posto si trova la centrale Federico II di Brindisi e al dodicesimo posto la centrale di Torrevaldaliga nel comune di Civitavecchia.

Inceneritori: per una “moderna” strategia dei rifiuti

Il settore dei rifiuti e? un altro settore strategico per la transizione verso un’economia a basso impatto di carbonio. Grazie all’impiego di metodologie efficaci nell’intera filiera di gestione di rifiuti e? possibile infatti ridurre notevolmente la quantita? di gas ad effetto serra immesse in atmosfera. A questo scopo, l’art. 4 della Direttiva europea 2008/98 relativa ai rifiuti (21) indica l’ordine di priorita? per la gestione dei rifiuti al fine di ridurre le emissioni e gli sprechi di materiali: prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di energia, smaltimento.

Nonostante il recupero di energia tramite inceneri- mento figuri sono come la penultima opzione, il governo italiano ha deciso di puntare tutto su- gli inceneritori. Grazie all’art. 35 dello Sblocca Italia viene promossa infatti la realizzazione di nuovi impianti di recupero di energia per lo smaltimento di rifiuti urbani e speciali. Nel decreto gli inceneritori vengono definiti “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale”. Cosi? come con le trivellazioni, anche tra- mite la promozione della creazione di una rete nazionale di inceneritori, lo Sblocca Italia cerca di depotenziare la capacita? decisionale delle regioni e delle comunita? locali, andando contro i principi di democrazia energetica, tramite la promozione di una maggiore verticalizzazione del potere.

La scelta di puntare su questa tipologia di smaltimento di rifiuti e? critica da diversi punti di vista, primi fra tutti l’incremento di emissioni generate?—?cosi? come tutti i processi di combustione, bruciare rifiuti determina il rilascio nel – l’atmosfera di CO2 – ?e i gravi impatti sulla salute umana associati all’esposizione alle sostanze rilasciate durante il processo di combustione (22).

La volonta? di puntare su questo modello di smaltimento di rifiuti e? confermata dal gia? citato Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 agosto 2016, pubblicato in gazzetta ufficiale il 5 ottobre 2016 (23) in cui sono indica- te le macro aree o le regioni dove verranno realizzati i nuovi impianti, in modo tale da rendere operativo quanto gia? stabilito nello Sblocca Italia. Gli otto inceneritori, da realizzare in Umbria, Marche, Lazio, Campania, Abruzzo, Puglia, Sicilia e Sardegna, permetteranno di incenerire 1.831.000 tonnellate di rifiuti in piu? all’anno rispetto ad oggi.

Secondo le stime di Greenpeace per ogni tonnellata di rifiuto incenerito vengono prodotte 0,8 tonnellate di CO2. Utilizzando questa stima, il Forum Italiano dei movimenti per l’acqua (24) ha calcolato che i nuovi inceneritori provocherebbero nuove emissioni per 1.454.000 tonnellate all’anno di CO2. I nuovi inceneritori produrrebbero inoltre 450.000 tonnellate di scorie e ceneri, 545 chili di mercurio, 545 chili di tallio, 110 tonnellate di polveri sottili, 2.000 tonnellate di ossidi di azoto (25).

Trasporti: avanti strade e bus

In base al rapporto ISPRA Inventario delle emissioni dei gas ad effetto serra. National Inventory Report 2016, dal 1990 al 2014 le emissioni di gas serra causate del trasporto su gomma sono aumentate del 3,2% (26). Nel 2014 le emissioni dovute al trasporto su gomma hanno rappresentato il 93,7% delle emissioni totali nazionali per il trasporto, ovvero il 28,9% delle emissioni del settore dell’energia e il 23,5% del- le emissioni totali del Paese. Vista l’importanza di questo settore per il bilancio delle emissioni di gas serra del nostro paese, sarebbe impor- tante sviluppare una strategia low carbon per la mobilita? e le infrastrutture.

Ma purtroppo cosi? non e?. Alla fine del settembre 2016 FS? – Ferrovie dello Stato ha presentato il suo nuovo piano industriale 2017–2026 (27). Il piano prevede investimenti per 94 miliardi in dieci anni, di cui 73 per le infrastrutture, 14 per i materiali rotabili e 7 per lo sviluppo tecnologico. Tra le linee di azione dell’azienda viene dato ampio margine al settore del trasporto su gomma, con la previsione di incrementare la flotta di BusItalia, l’azienda di trasporto su gomma del gruppo FS, con 3000 nuovi bus e l’obiettivo prioritario di incrementare la quota di mercato relativa alla gomma pubblica dal 6% attuale al 25% nel 2026.

Nel gia? citato Sblocca Italia il 47% dei fondi stanziati per le infrastrutture riguardano strade ed autostrade (28): le politiche di investimento su strutture stradali previste dal governo fungo- no evidentemente da stimolo e giustificazione a piani industriali di questo tipo e sono in contraddizione con gli impegni presi a Parigi, che prevedono anche lo sviluppo di politiche sostenibili nel trasporto pubblico.

Estratto del capitolo V del dossier l’Italia vista da Parigi, a cura di A Sud e del CDCA

scarica il dossier

NOTE

(1) La Proposal for an Effort Sharing Regulation 2021-2030 è disponibile qui: ec.europa.eu

(2) Analisi dell’INDC sottomesso dall’Unione Europea da parte di Climate Action Tracker climateactiontracker.org

(3) Rapporto Greenitaly 2016 www.symbola.net

(4) Report Statistico Solare Fotovoltaico 2015 www.gse.it

(5) Posizione europea disponibile qui: www.europa.eu

(6) Il comunicato stampa dell’associazione è disponibile qui: www1.assorinnovabili.it

(7)Effetti disastrosi dello Spalma incentivi di Assorinnovabili www1.assorinnovabili.it

(8) Intervista riportata su Terre di Frontiera, mensile indipendente su Ambiente Sud e Mediterraneo www.terredifrontiera.info

(9) Attack Irpinia, la storia dell’Eolico Selvaggio in Irpinia è disponibile qui: www.attackirpinia.it

(10) Ripreso dall’Articolo di Andrea Cappelli e Silvano Simoni L’oro verde: vizi e virtù dei biocarburanti pubblicato su Limes a novembre 2007

(11) Una descrizione dettagliata del Conflitto del Mercure è riportata qui: atlanteitaliano.cdca.it. Per notizie continuamente aggiornate sulla questione

invece è possibile consultare il blog No Centrale Mercure a questo link: pollinonocentrale.wordpress.com

(12) Un approfondimento sul Conflitto relativo alla Piattaforma Vega è disponibile qui atlanteitaliano.cdca.it

(13) Sentenza del TAR Lazio sul ricorso numero di registro generale 10066 del 2015 www.rinnovabili.it

(14) La procedura di VIA è reperibile qui: www.va.minambiente.it

(15) La procedura di VIA è reperibile qui: www.va.minambiente.it

(16) Un approfondimento sul Conflitto relativo alla Ricerca di Idrocarburi Global Petroleum Limited è disponibile qui: atlanteitaliano.cdca.it

(17) Salvatore Altiero e Marica Di Pierri, Sviluppo, giustizia sociale e crisi ambientale, Gazzetta ambiente n.3, 2015. Disponibile qui: www.ecologiapolitica.org

(18) Fonte: Assocarboni www.assocarboni.it

(19) Sul sito futur-e.enel.it la mappa delle Centrali a Carbone che Enel vuole riconvertire: www.futur-e.enel.it

(20) Una sintesi del rapporto La nuvola scura sull’Europa è disponibile sul qui www.wwf.it

(21) Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeso e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive disponibile qui: www.sistri.it

(22) La combustione di rifiuti rilascia inoltre nell’atmosfera diversi tipi di altre sostanze chimiche che hanno degli impatti negativi per la salute umana. Per maggiori informazioni, leggere il rapporto di Greenpeace del 2003 Incenerimento e Salute Umana (www.greenpeace.it) oppure consultare i risulati del Progetto Sentieri (www.epiprev.it)

(23) Pubblicato in Gazzetta Ufficiale www.gazzettaufficiale.it

(24) I risultati dei calcoli effettuati del Forum dei Movimenti per l’Acqua sono disponibili qui: www.carp-ambiente-rifiuti.org. I calcoli effettuati dal Forum sono però relativi a 1.818.000 tonnellate/anno in quanto svolti prima dei dati ufficiali di ottobre.

(25) I calcoli sulla produzione di scorie e altre emissioni oltre quelle di CO2 si basano sullo studio dell’Arpa dell’Emilia Romagna Le emissioni degli inceneritori di ultima generazione, disponibile qui: www.arpae.it

(26) L’Italian Greenhouse Gas Inventory 1990-2014. National Inventory Report 2016 redatto da ISPRA è disponibile qui www.sinanet.isprambiente.it

(27) Piano Industriale di Ferrovie dello Stato disponibile qui: www.fsitaliane.it

(28) Anna Donati in Rottama Italia, edizioni Altraeconomia a cura di Tomaso Montanari altreconomia.it