Per una strategia nazionale di rilancio delle aree interne

1[di Marco Bussone su CSN Ecologia Politica, numero 9] Il terremoto che ha colpito alcuni borghi dell’Italia centrale ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica, paesi spesso dimenticati dalla politica, ma che hanno mantenuto vivo un forte senso della comunità. Per queste periferie geografiche, lo Stato ha ora la possibilità di riscattarsi coordinando ricostruzione e valorizzazione dei territori.

Sono aspre, affascinanti, lontane, inconfondibili, fragili e vuote. L’Italia scopre le aree interne. I riflettori si sono accesi su quelle zone più periferiche del Paese nel momento più difficile. Il terremoto dell’Italia centrale ha portato i media lì tra i borghi dell’Appennino. È lì che la fragilità si è manifestata più forte. Non conoscevamo un solo nome – salvo Amatrice, di cui eravamo abituati a eliminare la vocale iniziale e che comunque non avremmo saputo collocare su una carta geografica – di quei paesi appenninici. L’Italia dei mille campanili e dei mille borghi, degli oltre 8 mila comuni, non conosce che pochi grandi centri, i poli dei servizi e delle opportunità. Le grandi aree urbane insomma, che abbiamo sempre saputo essere luoghi dove lavorare nelle grandi aziende, creare impresa e innovazione, fare spesa nei centri commerciali, girovagare anche tra monumenti storici di importanza mondiale o, alla peggio, tra i negozi del centro tra il dedalo ristretto delle vie dello struscio.

Ma fuori? Oltre alle aree urbane, in questi giorni abbiamo imparato a conoscere le zone interne. Quelle che sono e forse resteranno “periferie rurali” molto simili e allo stesso tempo così diverse dalle “periferie urbane”. Erano e sono entrambe da “rattoppare”, da ricucire, per motivi e con obiettivi diversi. Erano e sono i luoghi dell’abbandono, da lasciare per una vita migliore. Dal Colle di Cadibona allo stretto di Messina per l’Appennino, dal Passo del Turchino alla Carnia per le Alpi. Non le conosciamo le aree interne del Paese. Il terremoto d’agosto ne ha mostrato una parte, oggi martoriata. Come dice sempre un bravo amministratore delle valli cuneesi, quelle aree le amano olandesi, tedeschi e svedesi, ma non abbastanza noi italiani. Noi non sappiamo quello che c’è al di là della montagna e della collina. E non è metaforico. Intendiamo tradizionalmente quei territori come parco divertimenti e zone ludiche. Vale per la città con i suoi centri commerciali, vale per Alpi e Appennino. Oggi come non mai usate per imprese e scalate, sciate e spa… Continua a leggere su ecologiapolitica.org

Pubblicato a Settembre 2016