Scandalo ENI, 13 mila tonnellate di rifiuti portate a Chieti Scalo

Rifiuti liquidi illegali1[Di redazione su Primadanoi.it] Dall’inchiesta della Procura di Potenza emergono altri dettagli. Indaga anche L’Aquila.

L’inchiesta petrolio in Basilicata interessa sempre di più anche l’Abruzzo. Trovano conferma le notizie pure conosciute di smaltimenti di rifiuti provenienti dalla Basilicata.

Il Forum H2O ha diffuso ieri la notizia che sarebbero oltre 13.000 le tonnellate di rifiuti degli impianti petroliferi lucani conferiti a Chieti scalo nel 2013 e 2014.

Le carte dell’inchiesta della Procura di Potenza sull’ENI di Viggiano parlano anche dell’Abruzzo.

Oltre alla questione che riguarda il Direttore tecnico dell’Arta Abruzzo Giovanni Damiani, uscita sabato su Il Fatto Quotidiano, si parla in più parti del conferimento di ben 13.482,42 tonnellate di rifiuti liquidi provenienti dalle attività di estrazione (273,3 nel 2013 e 13209,12 nel 2014) che sarebbero state trasportate all’impianto di Chieti scalo della società Depuracque S.r.l. in località S. Martino.

L’azienda Depuracque, rivela il Forum dell’Acqua che ha letto le carte, non è indagata in questa inchiesta.

Il cuore dell’indagine riguarda proprio la classificazione di questi rifiuti, che l’ENI dichiarava “non pericolosi” mentre la procura di Potenza, tramite una perizia, li ritiene “pericolosi”. Il codice rifiuto da applicare sarebbe stato il 19 02 04 “Miscugli di rifiuti contenenti almeno un rifiuti pericoloso” e 13 05 08 “Miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio”.

Insomma una classificazione errata ma di comodo che poteva fruttare risparmi ingenti.

Agli atti ci sono intercettazioni in cui si parla di problemi di cattivi odori provenienti dai rifiuti che avrebbero interessato diversi impianti in cui venivano smaltiti i rifiuti prodotti dalle estrazioni, tra cui quello chietino. Secondo la ricostruzione degli inquirenti la questione dei cattivi odori era diventato un problema per gli indagati tanto che uno di loro avrebbe usato un tono di minaccia per l’impianto chietino in cui si sarebbero verificate problematiche odorigene causate dal rifiuto. In un’intercettazione, infatti, si parla chiaramente della Depuracque e dell’intento di togliergli il subappalto qualora le lamentele fossero continuate e se non avessero accettato 10 carichi al giorno.

La Procura di Potenza ricorda che l’impianto chietino era comunque autorizzato anche per trattare i due codici CER di rifiuti pericolosi che avrebbero dovuto essere assegnati ai rifiuti secondo la procura lucana.

«Ricordiamo», specifica Augusto De Sanctis del Forum dell’Acqua, «che pochi mesi fa proprio i vertici di Depuracque S.r.l., assieme ad esponenti del Consorzio di Bonifica Centro, sono stati al centro di un’altra e diversa inchiesta, questa volta della Procura distrettuale antimafia di L’Aquila, che ha ipotizzato anche il traffico illegale di rifiuti. Sarebbe interessante capire se la grande mole di rifiuti pervenuti dalla Basilicata a Chieti come rifiuti non pericolosi siano poi stati trattati adeguatamente e correttamente (e a costi maggiori per ENI; la Procura di Potenza ha calcolato in diverse decine di milioni di euro il vantaggio per ENI dalla diversa classificazione dei rifiuti) nell’impianto chietino come rifiuti pericolosi dalla ditta che li ha accettati e smaltiti. In ogni caso, al di là delle questioni penali e dell’inchiesta che farà il suo corso, basta vedere i quantitativi di rifiuti in gioco per capire la totale insostenibilità ambientale della deriva petrolifera».

E proprio l’inchiesta della distrettuale dell’Aquila condotta dalla Forestale sembra incrociarsi pericolosamente con quella potentina arrivando ad indagare intorno alle operazione della Depuracque contemporaneamente ma con punti di vista diversi.

Non è escluso che la procura potentina abbia indicato una strada dei rifiuti e quella aquilana poi proverà a spiegare come questi rifiuti venivano smaltiti.

Lo scorso dicembre la Forestale ha messo a segno una serie di perquisizioni alla ricerca di documenti e prove.

Alla fine sono stati prelevati una trentina di faldoni di documenti e campioni di rifiuti e fanghi, con buona approssimazione in quei faldoni ci sono anche i fanghi dell’ENI della Basilicata.

Al momento nell’inchiesta abruzzese risultano indagati Nicola Levorato, Enzo Orsatti e Gianluca Vaccarella della Depuracque; Roberto Roberti, Tommaso Valerio e Andrea De Luca, del Consorzio di Bonifica Centro; Virginia e Angelo De Cesaris e Antonio D’Angelo, rispettivamente delle società Ecologica Anzuca e Angelo De Cesaris S.r.l., di Francavilla al Mare, e D’Angelo Antonio S.r.l. di Castel Frentano.

I reati sono traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale. Il sospetto è che molte sostanze e fanghi venissero sversati direttamente nel fiume e se la cosa fosse provata ci ritroveremmo nuovamente di fronte ad un “inquinamento di Stato” dove enti pubblici come il Consorzio non vigilerebbero sulle attività delle ditte da loro incaricate.

La procura nell’avviso di garanzia già consegnato ha scritto: «pur essendo a conoscenza dell’inquinamento che provocano le acque reflue rilasciate dall’impianto di depurazione consortile di San Martino, gli indagati continuano dolosamente a sversare nell’area circostante liquidi inquinanti interessando, oltre le acque superficiali, anche le acque sotterranee e persino l’interramento dei fanghi».

Non c’è pace per quella cartolina sbiadita che fu l’Abruzzo verde di un tempo, sempre più insozzato e avvelenato.

 

 

Pubblicato su Primadanoi.it il 18 aprile 2016