TAP: non è una questione di opinioni, ma di “ingiustizia climatica”

no tap[di Marcello Greco su Salento Metropoli, 18 agosto 2018] Intervista al Prof. Michele Carducci, Ordinario di Diritto costituzionale comparato nell’Università del Salento e Human Rights Defender del Movimento No Tap nonché di Comitati, Associazioni e cittadini che si oppongono al gasdotto.

La questione del gasdotto TAP non può ridursi ad una mera questioni di costi economici e penali. In questa vicenda sono coinvolti interessi e diritti non monetizzabili, come la salubrità dell’ambiente, i diritti fondamentali dell’uomo, l’essenza della democrazia, della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione dei popoli. Nel parliamo più nel dettaglio con il Professor Michele Carducci, ordinario di Diritto costituzionale comparato presso l’Università del Salento e difensore volontario dei diritti umani (“Human Rights Defender”).

 

Professore Carducci, che cosa significa essere “Human Rights Defender”?

Significa prestare assistenza legale volontaria e gratuita a persone vulnerabili o gruppi di dissenso ambientale, sotto l’ombrello protettivo di riconoscimento dell’ONU, specificamente della Risoluzione 53/144, e, con riguardo all’Europa, all’interno delle linee guida dell’OSCE, dando conto delle proprie azioni alle diverse istituzioni internazionali e sovranazionali che monitorano appunto la difesa dei diritti umani (ONU, UE, OSCE, CIDU).

 

E’ la prima volta che Lei svolge questo tipo di attività?

No. Da quasi due decenni lavoro in questa veste volontaria in America latina e, più recentemente, in Africa, a favore di comunità indigene, gruppi vulnerabili (come ragazze madri e minori), soggetti discriminati. In Italia, invece, è la prima volta e paradossalmente proprio nel Salento, la mia terra.

 

Ma quindi la vicenda TAP è una questione di diritti umani?

Senza ombra di dubbio. La vicenda TAP mette in discussione diritti umani procedurali e sostanziali. Non sono io a dirlo, ma le fonti normative internazionali alla quali l’Italia si è vincolata, eludendone poi l’applicazione: dai diritti procedurali alla partecipazione democratica nelle questioni ambientali e di sviluppo locale (tutelati dalla Convenzione di Aarhus, da innumerevoli atti del Consiglio d’Europa, dalla Commissione di Venezia, dalla stessa Unione europea con un Regolamento del 2013) ai diritti sostanziali all’ambiente salubre e allo sviluppo sostenibile nel rispetto delle generazioni future (riconosciuti dai Trattati europei e dalla stessa disciplina legislativa ambientale italiana) al diritto al clima, recentemente fatto proprio dall’Accordo di Parigi del 2015 e ripreso da un recente importante documento del Comitato Economico e Sociale europeo sulla cosiddetta “giustizia climatica”.
Mi pare di capire che Lei condivida le ragioni di opposizione al gasdotto TAP.

Più ci si informa e documenta su questi parametri di riconoscimento dei diritti umani ambientali, più diventa difficile condividere le ragioni a favore della realizzazione del gasdotto TAP. Purtroppo, sulla importanza dei diritti umani alla democrazia ambientale, l’Italia è estremamente lacunosa, sia sul piano politico che su quello della informazione ai cittadini. Non a caso, in base ai dati di Environmental Democracy Index, il nostro Paese si colloca tra le peggiori posizioni in Europa. Questo è un fatto grave. Al di là di come la si pensi, quando si ignorano i diritti umani, si maturano opinioni tanto legittime quanto lacunose e manipolabili. Pertanto, se davvero si hanno a cuore la democrazia e i diritti, non si può rimanere indifferenti all’onere di informarsi, studiarsi le carte, leggersi i documenti a tutela dei diritti e della democrazia, comparare il contesto italiano con quello dei migliori Paesi al mondo per tutela dei diritti umani ambientali.

 

E’corretto concludere che la realizzazione di TAP violi i diritti umani da Lei richiamati?

Certamente si può constatare che il rispetto di tutti i diritti umani procedurali e sostanziali alla democrazia ambientale sia stato largamente eluso dai Governi della precedente Legislatura e su più fronti. Attualmente si contano almeno 27 procedimenti di varia natura (giudiziale e stragiudiziale) e di vario livello (locale, nazionale, sovranazionale e internazionale) che denunciano, da punti di vista diversificati di censura, le diverse espressioni di questa elusione. Molti di questi procedimenti sono seguiti da me, mentre Avvocati italiani e stranieri curano il fronte giudiziale e con altri Human Rights Defenders si stanno attivando altri interventi a livello internazionale. Non è corretto rappresentarli nel merito, perché sono tutti pendenti, e perché molti, soprattutto quelli di rilevanza internazionale, sono coperti da riservatezza o si stanno attivando ora. Posso solo aggiungere che la violazione della Convenzione di Aarhus e dell’Accordo di Parigi sul clima definiscono il contorno comune della stragrande maggioranza delle nostre iniziative.

 

E’ corretto assimilare la realizzazione del gasdotto TAP a una qualsiasi altra “grande opera”??

Assolutamente no. La realizzazione del gasdotto TAP non produce semplicemente un conflitto territoriale sulla sua collocazione, sul suo approdo e sulla sua sicurezza. E’ anche questo, ma non solo. TAP impatta sul clima, imponendo per decenni un sistema fossile incompatibile con la c.d. “transizione climatica” prevista sin dal protocollo di Kyoto e ora resa vincolante dall’Accordo di Parigi del 2015. In una parola, è un’opera anacronistica rispetto agli obiettivi climatici di salvaguardia del pianeta. Per questo diventa rilevante la lesione di diritti umani ambientali. Avallarla significa commettere un atto miope di “ingiustizia climatica”.

 

“Ingiustizia climatica”?

Mi spiego con un esempio. Nel 2013, il Parlamento italiano, con una maggioranza che la Corte costituzionale ha accertato non essere corrispondente alla effettiva volontà di voto dei cittadini (per la incostituzionalità della legge elettorale), ha ratificato un accordo trilaterale fra Italia, Albania e Grecia, con cui i tre Stati si sono legati mani e piedi per decenni a vantaggio esclusivo della multinazionale privata TAP (testualmente richiamata nel Trattato e incorporata nella conseguente legge di ratifica), considerando il suo operato e i suoi investimenti “strategici” per il futuro dei propri cittadini. In una parola, il Parlamento italiano ha affidato con legge il futuro pluridecennale dei suoi cittadini agli interessi privati di una multinazionale interessata non alla “transizione climatica”, bensì alla “persistenza” pluridecennale del gas. Un evento del genere, non nuovo nel panorama comparato ma non per questo di per sé accettabile, descrive un fenomeno che nel diritto costituzionale è denominato di “ingiustizia rappresentativa” e “cattura” dello Stato a favore di interessi privati: può una rappresentanza parlamentare, per di più fondata su una maggioranza frutto di una legge elettorale poi dichiarata incostituzionale, vincolare per decenni generazioni presenti e future a un interesse privato legato al gas e non alla “transizione climatica”?

Questo è il vero nodo gordiano che mette in gioco i diritti umani alla democrazia ambientale. Replicare a questo inquietante interrogativo con l’argomento che il Parlamento aveva comunque il potere di farlo, non elimina il profilo di ingiustizia inter-generazionale sul clima. Basta farsi un’altra domanda: se, come tutte le evidenze scientifiche dimostrano senza esclusione alcuna, la condizione climatica peggiorerà, come ci libereremo di TAP e dei suoi interessi privati alla persistenza nell’uso del gas (notoriamente dannoso al clima), dato che una maggioranza risicata ha vincolato noi e i nostri figli per almeno due generazioni? Se si fossero rispettati i diritti umani alla democrazia ambientale, tutto questo sarebbe stato oggetto di dibattito pubblico e di partecipazione informata, non di semplice ratifica a maggioranza di un Trattato capestro.

 

Ma TAP non dovrebbe garantire l’approvvigionamento energetico italiano?

La garanzia dell’approvvigionamento italiano è molto improbabile, stando ai dati dello stesso Governo italiano e delle diverse istituzioni e agenzie che si occupano di energia. Osservo, però, che l’argomento dell’ “approvvigionamento energetico” aveva senso fino a dieci anni fa. In dieci anni, il mondo è ulteriormente precipitato nella crisi del riscaldamento climatico e del deficit ecologico. Lo si legge nell’Accordo di Parigi del 2015, e non lo dico io ma lo denunciano oltre 20.000 scienziati di tutto il mondo (si veda il sito ScientistsWarning.org).

Oggi non si parla più di transizione energetica, bensì di transizione ecologica e climatica. In Francia, è stato istituito un apposito Ministero su questo. Da noi, non esiste alcun raccordo organizzativo e funzionale per decidere sulla transizione ecologica e si presenta TAP come utilità meramente economica. Tuttavia, al cospetto della realtà delle emergenze e urgenze climatiche di oggi e di domani, TAP è del tutto anacronistica. Non a caso, a sua difesa si parla di “de-carbonizzazione” (attraverso il gas), non certo di “de-fossilizzazione”, che costituisce la premessa ineludibile per salvare il pianeta.

 

Ma le c.d. “compensazioni” non potrebbero mitigare l’impatto negativo del gasdotto?

Nessuno più, se dotato di un minimo di intelligenza sui temi climatici, sostiene questa tesi meramente monetaria ed economica. Il clima non si compensa con i soldi. E il clima (in Italia, in Europa e nel mondo) è profondamente malato e sta sempre peggio. Pertanto, parlare di “compensazioni” è un argomento scellerato e cinico: è come donare soldi a un malato terminale.

 

Ma esistono alternative al gas?

Ovviamente sì, ma non le elencheranno certo TAP e i politici favorevoli o economicamente interessati all’opera. Le alternative esistono sui fronti delle energie rinnovabili, della c.d. “democrazia energetica” e della c.d. “demo-diversità” dei luoghi. Queste alternative danno molto fastidio per almeno quattro ragioni: minano il potere di “cattura” degli Stati da parte delle multinazionali private fossili; impongono trasparenza assoluta nei processi decisionali (ricordo che l’Italia non ha una disciplina specifica sul Lobbying); si fondano sul rispetto dei diritti di tutti i cittadini, indipendentemente dei loro interessi e dalla forza economica delle imprese; sottraggono potere di influenza clientelare ai politici.

 

Torniamo al Trattato trilaterale: allora è vero che il Governo è ormai vincolato a TAP per decenni?

Quel Trattato è un atto di suicidio della sovranità dello Stato italiano. Basta leggersi il Preambolo, che rinvia alla c.d. “Carta dell’energia”, di cui il “Trattato della Comunità per l’Energia” (anch’esso richiamato) è una riproduzione a livello di Unione europea. Nonostante l’invocazione retorica della tutela dell’ambiente (art. 19), con l’art. 47 della “Carta dell’energia” i governi degli Stati si subordinano di fatto, anche in caso di recesso dal Trattato medesimo, agli interessi finanziari delle multinazionali. Tradotto, significa che la tutela dei profitti di TAP viene comunque prima della salvaguardia ambientale e dei diritti umani dei cittadini, attraverso un meccanismo cinico di “cattura” dello Stato noto come “Zombie Clause”. Chiunque ha il dovere di leggere quell’articolo “Zombie” (appunto l’art. 47) e chiedersi come sia stato possibile approvare un Trattato del genere, se non offendendo la Costituzione, la democrazia, i diritti umani, i cittadini, le generazioni future.

 

Dunque non se ne può uscire?

Proprio perché è un accordo indecente, stiamo tentando di uscirne attraverso meccanismi di neutralizzazione della “Zombie Clause” in nome dei diritti umani e della Costituzione. Ma non aggiungo nulla, perché come “Human Rights Defender” si gode della riservatezza su simili iniziative.

 

Un altro nodo spinoso su TAP è la questione della c.d. “analisi costi-benefici” in caso di abbandono del progetto. Come vi state muovendo?

Com’è noto, abbiamo attivato la c.d. “FOIA”, l’accesso civico generalizzato nei confronti dei Ministeri dello Sviluppo economico, degli Esteri, dell’Interno, dell’Ambiente e il Ministro per il Sud. Abbiamo già ricevuto alcune risposte interessanti: il Ministro per il Sud, quindi la Sen. Lezzi, e quello per l’Ambiente, quindi il Gen. Costa, hanno dichiarato di non disporre di documenti, né di informazioni né di uffici che analizzino costi-benefici di TAP. Il Ministero degli Esteri ha formalizzato da sé la richiesta in merito verso il Ministro Di Maio. Il Ministero di Di Maio e quello di Salvini non hanno ancora risposto (ma lo dovranno fare entro la prima settimana di settembre). Pertanto, allo stato attuale, sappiamo che: un Ministro degli Esteri è andato in Azerbaijan rassicurando su TAP il Presidente di un Paese non democratico e lesivo dei diritti umani (così classificato non da me, ma dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione di Venezia), senza alcuna cognizione dei costi e benefici di TAP; il Ministero dell’Ambiente è sprovvisto di una unità che analizzi costi-benefici di TAP; il Ministro per il Sud, pur parlando pubblicamente di costi-benefici, non dispone di una unità informativa a ciò preposta.

Ricordo, però, che il “Contratto di governo”, firmato da Di Maio e Salvini e votato dai cittadini, parla di analisi costi-benefici per le opere ad impatto ambientale. Pertanto, noi chiederemo la esecuzione in forma specifica di quel “Contratto”, sia a Salvini che a Di Maio (firmatari del “Contratto”).

 

Un’ultima domanda: Lei fa parte degli esperti delle Nazioni Unite per il programma “Harmony with Nature”. Che idea si è fatta della situazione ambientale del Salento, rispetto a quei parametri ONU?

Il Salento è un contesto ecosistemicamente malato: TAP; Colacem. Cerano, Ilva, Petrolchimico, pesticidi contro Xylella, consumo di suolo, discariche abusive ecc…. Le malattie ecosistemiche non si percepiscono immediatamente. Operano come un cancro silenzioso e per questo producono cecità tra i cittadini, per lo più beatamente indifferenti, ignoranza tra i decisori politici, per lo più preoccupati di singole misure e non di approcci di insieme, incapacità di lettura sistemica da parte delle burocrazie, raramente aggiornate su questi temi. Ma i disastri ecosistemici non sono fatti naturali: sono fatti sociali, conseguenza di errori, interessi contingenti, miopia intellettuale, assenza di coraggio politico, apatia civile, pigrizia culturale. Una volta esplosi, producono una indignazione sociale ipocritamente tardiva. Invece, le malattie ecosistemiche si combattono con l’esercizio civile dello studio, della vigilanza e del dissenso partecipato. Anche a questo servono gli Human Rights Defenders.