Troppi antibiotici? Male per noi, male per i fiumi

addiction_antibiotic-kM0-U11011445420528aQE-1024x576@LaStampa.it[di Giovanni Ortolani su La Stampa] Ogni volta che prendiamo un antibiotico, una minima parte del farmaco va a finire nell’ambiente. I rischi per la nostra salute e per la natura sono però gravi: una concentrazione di soli pochi micro-grammi per litro in uno dei nostri fiumi provoca effetti anche seri.

Ogni volta che prendiamo un antibiotico, una minima parte del farmaco va a finire nell’ambiente. I rischi per la nostra salute e per la natura sono però gravi, in quanto ne utilizziamo troppi e anche una concentrazione di soli pochi micro-grammi per litro in uno dei nostri fiumi provoca effetti sull’ambiente. “Ovviamente non li possiamo bandire perché sono farmaci fondamentali per la cura delle infezioni” dice a La Stampa Paola Grenni, ricercatrice dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque del Consiglio nazionale delle Ricerche – “però,” sottolinea, “bisogna utilizzarli solo se prescritti dal medico, poiché se non necessari, la loro incidenza sull’ambiente neppure è giustificata da motivi di salute”.

Grenni è fra gli autori di una pubblicazione che ha raccolto e analizzato la letteratura scientifica su questo tema e che è stata recentemente premiata agli Elsevier Atlas Award, un riconoscimento dato agli studi scientifici che trattano di argomenti con un impatto significativo a livello mondiale.

Gli antibiotici sono stati scoperti casualmente nel 1928, quando Alexander Fleming studiò la capacità della muffa Penicillium notatum di inibire lo sviluppo di numerose specie di batteri. I suoi studi servirono alla realizzazione del primo farmaco antibiotico, ovvero la penicillina, che arrivò negli ospedali negli anni ‘40. I ricercatori hanno poi sintetizzato numerosi altri antibiotici che hanno contribuito a diminuire la mortalità causata da malattie infettive batteriche, come la polmonite o la tubercolosi, e a ridurre le complicanze di infezioni legate a ferite e interventi chirurgici.

Ma quando una persona o un animale ingeriscono un antibiotico, non tutto il farmaco viene assorbito dal corpo. Una parte non viene infatti metabolizzata e viene eliminata attraverso le urine e le feci, che prima raggiungono le acque di scarico, quindi gli impianti di trattamento e depurazione e infine i fiumi.

“Anche a basse concentrazioni, gli antibiotici nell’ambiente possono far sviluppare ai batteri una resistenza che si può trasmettere fra i diversi batteri” spiega Grenni. “Se questa resistenza raggiunge anche batteri patogeni, il problema diventa importante perché poi il farmaco non ha più effetto su tali batteri che appunto sono divenuti resistenti allo stesso” continua sottolineando che negli ultimi anni si sta facendo uno sforzo per sintetizzare e mettere sul mercato nuovi antibiotici in grado di prendere il posto di quelli che stanno diventando meno efficaci.

L’antibiotico-resistenza è la capacità di un batterio di modificare il proprio patrimonio genetico per non soccombere sotto l’azione di un farmaco antibiotico. Secondo la World Health Organization (WHO) questa è oggi una delle minacce globali più gravi per la salute, la sicurezza alimentare e lo sviluppo. Solamente la tubercolosi antibiotico-resistente uccide già 250.000 persone all’anno, mentre numerose altre malattie, come la polmonite e le infezioni del tratto urinario, stanno sviluppando una resistenza sempre maggiore.

L’altra minaccia, continua Grenni, è quella per il nostro ambiente. Gli antibiotici infatti influenzano batteri e funghi non patogeni e naturalmente presenti nell’ambiente, le cosiddette comunità microbiche naturali, che giocano un ruolo chiave nei cicli biochimici fondamentali dei processi ecologici e che influiscono sulla fertilità del suolo e la qualità dell’acqua. Recenti analisi – effettuate in studi scientifici– fatte a campione sul Po, il Lambro e il Tevere hanno evidenziato tracce di svariati antibiotici.

Tuttavia uno degli ostacoli alla diffusione della sensibilità sulla vera portata di questo problema è che le ARPA o gli Organismi europei di settore non sono tenuti a raccogliere sistematicamente dati sulla loro concentrazione in quanto gli antibiotici non rientrano nelle tabelle dei contaminanti prioritari che devono essere analizzati. La questione più urgente, suggerisce Grenni, è quindi quella dell’aggiornamento della Direttiva Quadro sulle Acque, ma si tratta di processi lunghi e delicati per trovare un bilanciamento tra salute umana e tutela ambientale.

Secondo la ricercatrice possiamo ancora agire concretamente per arginare questo problema. Innanzitutto occorre utilizzare gli antibiotici solamente dopo una prescrizione e seguendo scrupolosamente le indicazioni del medico. Inoltre negli allevamenti bisogna vietare l’utilizzo indiscriminato di antibiotici, che in alcuni paesi (non UE) vengono somministrati per favorire la crescita degli animali. Infine i governi, incluso quello italiano, dovrebbero monitorare sistematicamente la concentrazione degli antibiotici nell’ambiente e adeguare gli impianti di depurazione, che sono la via principale attraverso cui questi farmaci arrivano nell’ambiente. “Tutto ciò si può fare però solo grazie ad una ricerca scientifica di base,” conclude Grenni, “che pertanto va auspicabilmente supportata e incentivata.”

(Pubblicato il 22/12/2017)