Profondo Nero. Il viaggio del carbone dalla Colombia all’Italia

Colombia Profondo Nero1[Da “Profondo Nero” su Recommon.org] Questa storia comincia da casa tua e dalla presa di corrente dietro al comodino accanto al tuo letto.

Viaggia dall’Italia alla Colombia, da spiagge paradisiache a paradisi fiscali, dal Mar dei Caraibi alla costa tirrenica, dalla Sierra Nevada alle Alpi svizzere.

Parla di gente che conta e gente che non esiste, di indigeni che non riescono più a sognare, di cowboys con il vizio del potere, di pescatori che non pescano più, di gruppi criminali più o meno organizzati, di gente che non si arrende e di gente che si è già arresa, di lavoratori e di sindacalisti, di militari e di banditi.

È una storia di villaggi fantasma, di morti ammazzati, di navi che attraversano l’Oceano, di corruzione, di grattacieli e baraccopoli, di pick up bianchi con i vetri scuri e carretti trainati da muli, di impunità, di processi veri e processi farsa, di sfruttamento e resistenza, di profitti e cosmovisione indigena.

È una storia di arroganza e violenza, di connivenza e paura, di minacce e riciclaggio, di desolazione e sorrisi, di cose che non si possono raccontare, di Stato e mercato che non si distinguono più, di pioggia nera e bicchieri d’acqua marrone, di carri armati lungo le strade e benzina di contrabbando, di sicurezza che rende insicuri.

Questa è la storia del viaggio del carbone dalla Colombia all’Europa, fino al Mar Mediterraneo. Una storia di treni e di navi, di porti e di miniere e degli interessi insospettabili che si muovono intorno ad essi.

E poi è anche la storia di un altro viaggio, il nostro, per cercare di capire, di ricostruire i nessi dove apparentemente non ce ne sono, di trovare risposte a domande che non si possono fare.

Bogotá, 15 ottobre 2015

 

Capitolo 1 – Con gli occhi del Cesar

A mi me mata la tristeza

“Io sono vittima di El Samario. Ci conoscevamo con il Samario, eravamo dello stesso Paese. Un giorno mi chiamò al telefono per chiedermi perdono. Mio fratello l’aveva ammazzato lui, su ordine di Jorge 40. Faceva il panettiere, mio fratello, altro che guerriglia. L’avevano visto camminare insieme al ‘medico russo’, un suo amico che chiamavano così perché era stato in Russia a studiare. Secondo loro se era stato in Russia era per addestrarsi e arruolarsi nella guerriglia e quindi andava fatto fuori. E così fecero. Hanno sparato a lui e a mio fratello che passeggiava con lui. Era il 17 aprile del 2003”.

“Me lo hanno ammazzato nel cuore della notte. Era il padre delle mie figlie. Avete idea di che vuol dire crescere due figlie femmine in un posto come questo? Vuol dire che tra banditi e uomini d’affari i clienti non mancherebbero mai. La mia unica gioia è che le mie figlie non l’hanno mai fatto. Anche se, più di una volta, ho avuto io la tentazione di spingerle a farlo”.

“Viveva dietro casa mia. Anche se diceva che era un’infermiera, in realtà era un’odontotecnica. La obbligarono ad andare in un accampamento per curare un guerrigliero ferito. Quando tornò, quegli altri l’ammazzarono. Basta una cosa del genere per diventare un bersaglio.”

“Ogni volta che trovano una fossa comune ci chiamano per l’identificazione. Sono quasi sempre corpi fatti a pezzi, ma fino adesso non si è mai trovata coincidenza con il DNA di mio zio. Sono 11 anni che lo…

 

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Pubblicato su Recommon.org il 31 maggio 2016